Sto ripensando, Sergio, a qualche giorno fa, quando ti ho mostrato sullo smartphone alcune "app" religiose. Sei rimasto basito.
«A dir poco, Ale. Intanto perché, come sai, sono allergico a qualunque congegno che imponga una abilità smanettatoria da atleta olimpionico. E poi perché, per un irriducibile della penna biro come me, è naturale quella sorta di diffidenza, ma al tempo stesso – ammetto – di meravigliata curiosità, che mi pervade ogni volta che mi fai scorrere sotto gli occhi il mondo su quel piccolo schermo magico. Stavolta le "app" , come le chiami tu, che parlano di fede… Ci ho riflettuto, sai. E ritengo che lo strisciante indebolimento etico e civile di questo tempo ha finito per travolgere ideologie, sistemi politici e dunque anche le pulsioni religiose. L'incubo del disordine, quando non cela una ben calcolata difesa del vecchio ordine, appartiene a un'umanità diffusa dentro fissità esistenziali che l'hanno inchiodata alla logica dell'epoca. Quasi come se il futuro e il bisogno di fede, fossero una malattia contro cui doversi premunire con un vaccino, magari vago, come l'incredulità. Qualcosa che finisce per sparigliare le carte nella ricerca autentica di Dio».
Vuoi dire che la pigra società del benessere sceglie sempre più comode autostrade virtuali a portata di dito persino nella ricerca della fede?
«Guardati in giro. La spasmodica caccia all'appagamento compulsivo di necessità effimere indotte da un consumismo sfrenato, finisce per diventare la sola regola di vita. Accade così di imbattersi nella fede illuminata da astri virtuali: Internet, dove ormai non c'è religione che non abbia il suo sito. Il fatto è che viene giudicata dalle giovani generazioni più credibile solo perché il prodotto del regno della mente. Mi chiedo spesso se nella logica del cyberspazio, dove già esistono cimiteri, sacramenti e, come mi hai svelato tu, persino confessioni virtuali, qualcuno possa scorgere una nuova metafora di Dio».
Già Benedetto XVI ha detto che può esistere uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale...
«Sinceramente non so cosa la Rete possa offrire nell'ambito di una introspettiva analisi della coscienza interiore. Bisogna sapersi districare nella giungla di siti promozionali infarciti di spot metafisici e pseudoreligiosi. E non perdere mai la via autentica del cristianesimo. Il pericolo di abbagli è dietro l'angolo. Ed è facile farsi catturare dai mirabolanti effetti di falsi profeti. La tecnologia è un valore aggiunto formidabile se usato con la testa e con il cuore. Ma non può trasformarsi in una incubatrice di surrogati buoni per placare anime più o meno tormentate o influenzate da una moda che fa tendenza. Si è smarrita quasi del tutto la capacità introspettiva. Persino il silenzio. Mi ritorna in mente la lettera che suor Maria Teresa di Gesù mi scrisse quando terminai le riprese di "Clausura". Mi raccontò della sua scelta di lasciare il monastero e di dedicarsi alla nascita di un nuovo eremo. "Un posto – mi disse – in cui offrire a chiunque la possibilità di condividere per alcuni giorni il nostro silenzio; perché chi distrugge il silenzio distrugge una delle vie che portano a Dio. Ma chi lo recupera può ritrovare se stesso e anche Dio"».
Lascito prezioso dell'ultimo tratto del percorso terreno di Sergio Zavoli sono i suoi “dialoghi familiari” con la moglie Alessandra, giornalista a sua volta, che in questa rubrica offre ai lettori di “Avvenire” sintesi a tema di quelle riflessioni.
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