
Riconoscere. Forse il più commovente mai narrato in letteratura è il riconoscere il suo padrone Ulisse da parte del cane Argo. Coperto di zecche, tutto insozzato di letame mentre giace in terra, abbandonato a sé stesso, ecco che il cane nel vedere arrivare un mendicante vi riconosce sotto ai vestiti di stracci, Ulisse, il suo amato padrone. Lui che da vent’anni è scomparso. Non appena lo vede, e se pure a distanza lo fiuta, immediatamente capisce che si tratta di lui. Allora il cane Argo abbassa le orecchie e scodinzola; per quanto “malconcio e sfinito”, è tutto contento. Ulisse lo nota, si commuove, nasconde le lacrime. Poi prosegue oltre, verso la tappa successiva del suo difficilissimo ritorno a casa, a Itaca. Non può accorgersi che alle sue spalle intanto il cane spira. Stremato da troppi stenti e maltrattamenti, muore lì, come avesse dovuto aspettare quel reincontro, quel riconoscere, per poter lasciare la vita. L’apparizione di Argo nell’Odissea è un apologo, e un tornante nella letteratura mondiale. Racconta la fedeltà. L’attesa. Le mute, inscalfibili sintonie tra gli animali e i loro padroni. E qualcos’altro di antichissimo e sempre vero, ossia come e quanto gli animali capiscano molte volte meglio di noi, più di noi, che cosa succede.
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