Céline, il «sulfureo» Céline. L’aggettivo accompagna spesso il cognome di uno scrittore considerato fra i massimi (almeno francesi) del ’900. La domanda è: «Come mai l’autore di capolavori come Viaggio al termine della notte (1932), e Morte a credito (1936), ha scritto pamphlet antisemiti come Bagatelle per un massacro (1937), Le belle bandiere (1941) e La scuola dei cadaveri (1942)?".Intorno a questa domanda ha ragionato Riccardo De Benedetti nel saggio Céline e il caso delle «Bagatelle» (Medusa, pp. 168, euro 14), adducendo argomenti e documenti che interessano chi è interessato a Céline, ma anche chi ama riflettere sul continuamente rilanciato problema della censura. Già, perché le Bagatelle sono tuttora oggetto di censura sia in Francia (la Pléiade ha accolto solo i romanzi), sia in Italia dove il libello è stato subito tradotto (con tagli pesanti) da Alex Alexis (pseudonimo di Luigi Alessi, traduttore di mestiere) nel 1937, per le Edizioni Corbaccio, mentre la traduzione di Giancarlo Pontiggia per Guanda (1981) fu ritirata a seguito di una diffida della vedova dello scrittore, Lucette Almanzor. Le Bagatelle e gli altri due pamphlet, dichiarava la vedova, «sono esistiti in un certo contesto storico, in un’epoca particolare, e non hanno causato a Louis e a me che del male». Infatti, al termine della Seconda guerra mondiale Céline, accusato di antisemitismo e di collaborazionismo, scelse l’esilio in Danimarca. Condannato nel 1950 dal Tribunale di Parigi e amnistiato l’anno dopo, poté rientrare in Francia ma emarginato e proscritto dai colleghi e dal pubblico, nonostante il valore dei suoi nuovi romanzi, fra cui Rigodon, che uscì postumo nel 1969. Céline, infatti, era morto nel 1961 a sessantasette anni. Bisogna dunque considerare Céline come grande scrittore “nonostante” i pamphlet che costituirebbero come un incidente, un vuoto, un abisso fra un prima e un dopo letterariamente eccelsi? In realtà, l’antisemitismo di Louis-Ferdinand Auguste Destouches (Céline era il nome della nonna materna, scelto come pseudonimo) risulta anche prima delle Bagatelle, e fa tutt’uno con la sua opera che in Italia ebbe autorevoli traduttori come Giorgio Caproni per Morte a credito, Giovanni Raboni (Mea culpa), Delfina Provenzali (Le belle bandiere), Gianni Celati, Ernesto Ferrero, Giuseppe Guglielmi. Ginevra Bompiani tradusse Rigodon.Un’interpretazione convincente si trova nella postfazione di Giancarlo Pontiggia al libro di De Benedetti. Dopo essersi chiesto perché Céline continui a essere censurato, mentre altri scrittori di sconcezza e nefandezze (magari di segno politico opposto) restano venerati, Pontiggia afferma che «Céline è tanto più moderno, in quanto la sua modernità sgorga dal suo furore arcaico, dal suo odio per la modernità, per l’uomo-massa, per l’ingenuità dei suoi francesi giudaizzati, che si bevono ormai tutto». Di più: «Le opere di Céline mettono a nudo lo stato di confusione e di intorbidamento sociale in cui vive oggi il mondo della cultura». Insomma: «Céline è forse il primo a intuire, visceralmente, la morte dell’idea di letteratura, e dunque il trionfo della pura tensione – emotiva, stilistica, grezzamente esistenziale – di chi scrive». Il bersaglio, dunque, sono gli ebrei considerati responsabili dei mali del mondo, ma il vero obiettivo è l’uomo contemporaneo, la cui unica risorsa è il nichilismo.Quanto alla censura, personalmente ritengo che le Bagatelle di Céline (al quale non perdono l’uso insistito dei puntini di sospensione che impediscono la conclusione delle frasi) possano benissimo essere ristampate. Così si sarebbe ancor più liberi di non leggerle.
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