Nato nel 1930, allievo fedele e inventivo di Giacomo Debenedetti, Walter Pedullà è uno dei critici più vitali della sua generazione (nello stesso anno sono nati Baldacci, Sanguineti, Citati). Ma quanto a energia e ottimismo, Pedullà non teme confronti. La sua scrittura con gli anni è diventata sempre più veloce, mobile, ludica. Nella sua ultima raccolta di scritti, Il vecchio che avanza (edizioni Ponte Sisto) troviamo letteratura, stili della politica e politica degli stili, idee, paradossi e funambolismi ermeneutici, nuovi autori e classici del Novecento. La mente di Pedullà è così impregnata di Novecento, così intrinseca e connaturata al Novecento, che nella sua critica questo secolo smette di essere un oggetto di discorso, per diventare la fisiologia, il respiro di tutte le sue riflessioni.
Leggendo i libri di un tale critico si potrebbe pensare che sono tutti uguali o si somigliano troppo. Il fatto è che Walter Pedullà non tesaurizza il proprio passato, né mette una pietra sopra a quello che ha scritto. Ricomincia sempre dall'inizio. Tutto viene riformulato. Il fiume dell'interpretazione non smette mai di scorrere, sembra lo stesso ma è sempre diverso. L'essere della letteratura coincide perciò con il suo divenire. E quindi fermo, il critico, non può stare.
Ricordo gli anni in cui Pedullà manovrava una sintassi dilatata e avvolgente. Ora infila sequenze di enunciati aforistici, frasi senza virgola che non superano una riga o si prolungano in percussive catene paratattiche. I suoi autori e maestri li conosciamo: dopo Svevo e Pirandello, sono Palazzeschi, Savinio, Gadda, Debenedetti, D'Arrigo, e pochi altri: Landolfi, Campanile, Manganelli, Pagliarani. Mentre Calasso teorizzò una Letteratura Assoluta e parmenidea che incenerisce la storia, Pedullà insegue una letteratura eraclitea che si muove a zig-zag e trascina con sé alimenti di vita sempre nuovi. Critica eraclitea e danzante: per essere presenti dove il mondo, nella sua follia, continua a cambiare.
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