Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Con la festa del
Battesimo del Signore, celebrata domenica scorsa, siamo entrati nel
tempo liturgico chiamato "ordinario". In questa seconda domenica, il
Vangelo ci presenta la scena dell’incontro tra Gesù e Giovanni
Battista, presso il fiume Giordano. Chi la racconta è il testimone
oculare, Giovanni Evangelista, che prima di essere discepolo di Gesù
era discepolo del Battista, insieme col fratello Giacomo, con Simone e
Andrea, tutti della Galilea, tutti pescatori. Il Battista dunque vede
Gesù che avanza tra la folla e, ispirato dall’alto, riconosce in Lui
l’inviato di Dio, per questo lo indica con queste parole: «Ecco
l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).
Il
verbo che viene tradotto con "toglie" significa letteralmente
"sollevare", "prendere su di sé". Gesù è venuto nel mondo con una
missione precisa: liberarlo dalla schiavitù del peccato, caricandosi le
colpe dell’umanità. In che modo? Amando. Non c’è altro modo di vincere
il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della
propria vita per gli altri. Nella testimonianza di Giovanni Battista,
Gesù ha i tratti del Servo del Signore, che «si è caricato delle nostre
sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4), fino a morire
sulla croce. Egli è il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume
del nostro peccato, per purificarci.
Il Battista vede dinanzi a
sé un uomo che si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare,
pur non avendone bisogno. Un uomo che Dio ha mandato nel mondo come
agnello immolato. Nel Nuovo Testamento il termine "agnello" ricorre più
volte e sempre in riferimento a Gesù. Questa immagine dell’agnello
potrebbe stupire; infatti, un animale che non si caratterizza certo per
forza e robustezza si carica sulle proprie spalle un peso così
opprimente. La massa enorme del male viene tolta e portata via da una
creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore
indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé. L’agnello non è un
dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli
artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è
remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello.
Che cosa
significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù
Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al
posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto
del prestigio il servizio. È un buon lavoro! Noi cristiani dobbiamo
fare questo: mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della
forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del
prestigio il servizio. Essere discepoli dell’Agnello significa non
vivere come una "cittadella assediata", ma come una città posta sul
monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere
atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti,
testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e
più gioiosi.
[00077-01.01] [Testo originale: Italiano]
Dopo l'angelus
Cari fratelli e sorelle,
oggi
si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, sul tema
"Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore", che ho sviluppato nel
Messaggio pubblicato già da tempo. Rivolgo un saluto speciale alle
rappresentanze di diverse comunità etniche qui convenute, in particolare
alle comunità cattoliche di Roma. Cari amici, voi siete vicini al
cuore della Chiesa, perché la Chiesa è un popolo in cammino verso il
Regno di Dio, che Gesù Cristo ha portato in mezzo a noi. Non perdete la
speranza di un mondo migliore! Vi auguro di vivere in pace nei Paesi
che vi accolgono, custodendo i valori delle vostre culture di origine.
Vorrei ringraziare coloro che lavorano con i migranti per accoglierli e
accompagnarli nei loro momenti difficili, per difenderli da quelli che
il beato Scalabrini definiva "i mercanti di carne umana", che vogliono
schiavizzare i migranti! In modo particolare, intendo ringraziare la
Congregazione dei Missionari di San Carlo, i padri e le suore
Scalabriniani che tanto bene fanno alla Chiesa e si fanno migranti con i
migranti.
In questo momento pensiamo ai tanti migranti, tanti
rifugiati, alle loro sofferenze, alla loro vita, tante volte senza
lavoro, senza documenti, tanto dolore; e possiamo tutti insieme
rivolgere una preghiera per i migranti e i rifugiati che vivono
situazioni più gravi e più difficili: Ave Maria…
Saluto con
affetto tutti voi, cari fedeli provenienti da diverse parrocchie
d’Italia e di altri Paesi, come pure le associazioni e i vari gruppi.
In particolare, saluto i pellegrini spagnoli di Pontevedra, La Coruña,
Murcia e gli studenti di Badajoz. Saluto gli ex-allievi dell’Opera Don
Orione, l’Associazione Laici Amore Misericordioso e la Corale "San
Francesco" di Montelupone.
A tutti auguro una buona domenica e buon pranzo. Arrivederci!