Caro direttore,
le numerose, autorevoli e acute riflessioni sui cattolici italiani e la politica, pubblicate su 'Avvenire' nelle ultime settimane, mettono in cammino pensieri e sentimenti, in felice sintonia con le preoccupazioni dei vescovi italiani. Il cardinale Gualtiero Bassetti le ha espresse con chiarezza in diverse occasioni, ricordando tra l’altro – nel centenario dell’appello di don Sturzo 'Ai liberi e forti' – come sia necessario anche oggi l’apporto dei cittadini cattolici per un servizio all’intero Paese.
Chi può decidere le modalità, i tempi e gli strumenti per questa auspicabile nuova stagione di impegno politico dei cattolici? Non certamente i pastori da soli. Come ha ricordato il Concilio Vaticano II, è primo e specifico compito dei laici animare le realtà temporali e quindi anche agire direttamente nel mondo politico. Ai pastori spetta piuttosto spendersi per la predicazione fedele del vangelo, amministrando la grazia sacramentale e accompagnando i fedeli nella scoperta della loro vocazione e missione nel mondo. I due ambiti, certo, non si muovono su binari paralleli, perché la persona è un tutt’uno e l’annuncio del Vangelo incrocia sempre i valori e le esperienze umane: personali, sociali e politiche. Ma non si potrà chiedere al magistero di entrare direttamente in campo nelle scelte politiche, nelle strategie partitiche e nei processi di stesura e applicazione delle leggi: un corto circuito verificatosi in Italia alcuni decenni fa quando, caduti i partiti 'ideologici', i vescovi hanno svolto un’opera di supplenza che ha finito per smorzare l’iniziativa politica dei laici cattolici. Situazione che in realtà ha fatto comodo anche ad alcuni di questi laici, i quali continuano talvolta a invocare la discesa in campo dei vescovi in ambiti e questioni spettanti invece a loro.
Non i pastori da soli, dunque, ma nemmeno i laici da soli. Perché la Chiesa è formata da tutti i battezzati, è «l’assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù» (Lumen Gentium 9). L’unità del popolo di Dio viene prima delle distinzioni tra gerarchia, laici e consacrati. Ma questa unità oggi, in Italia, appare una chimera: la cifra del cattolicesimo italiano sembra la divisione. Non si tratta, come decenni fa, di una frattura orizzontale tra 'base e vertice', ma di una frattura verticale tra due schieramenti valoriali. Da una parte i cattolici della vita nascente e morente e dall’altra quelli della vita migrante e indigente; da una parte i cattolici della famiglia e dall’altra quelli dell’ambiente. Di fronte alle divisioni nella comunità, San Paolo chiedeva: 'Cristo è forse diviso?' (1 Cor 1,13). Oggi la domanda è ancora più radicale: 'L’uomo forse è diviso?'.
La tentazione è quella di prendere parte, mentre 'cattolico' significa conforme al tutto. Il 'cattolico' sostiene la dignità della vita umana in tutte le sue dimensioni, individuale e sociale: la vita nascente e morente, povera e indigente, sana e malata; lavora con uguale passione per la libertà educativa e per la qualità dell’ambiente, per la famiglia e per la promozione del lavoro e della giustizia, per la sussidiarietà e per la solidarietà. Questi erano valori sui quali settant’anni fa i cattolici erano unanimi, e sui quali convergevano addirittura insieme a liberali e socialcomunisti, come testimonia la nostra Costituzione. Oggi i cattolici non riescono più nemmeno a convergere tra di loro. L’ideologia non è affatto scomparsa: semplicemente si incanala non più nell’uno o nell’altro partito, ma nell’uno o nell’altro sito. Con la differenza che il partito era sottoposto a leggi di controllo, mentre il sito è governato dalle leggi della giungla.
Grazie a Dio esiste una rete sana e costruttiva nelle nostre case, parrocchie, città, luoghi di lavoro, di cura e di incontro. Una fitta rete di persone che nel quotidiano si impegnano a fondo, come singoli e come gruppi. Solo che non riesce a fare cultura e ancor meno a fare politica. Trasformare in eventi culturali e politici le esperienze di accoglienza, accompagnamento e dono; riflettere e comunicare i valori umani racchiusi dentro alle pratiche evangeliche: mi sembra il servizio più prezioso che la Chiesa italiana oggi può offrire, senza farsi frullare dall’attualità, senza cedere alla tentazione di rispondere all’arroganza con l’arroganza; preparando piuttosto una generazione capace di leggere 'i segni del tempi'.
Anche per questo credo che l’idea recentemente lanciata sulle pagine di 'Avvenire' dal direttore di 'La Civiltà Cattolica' padre Antonio Spadaro, sullo spunto della introduzione del cardinal Bassetti all’ultimo consiglio permanente della Cei, vada ripresa e sostenuta: probabilmente è venuto il tempo di un sinodo per la Chiesa italiana, che possa farle prendere atto di essere una delle «minoranze creative» (Benedetto XVI, 26 settembre 2009), una Chiesa «libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa» (Francesco, 10 novembre 2015).
Arcivescovo di Modena-Nonantola
presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi