Gentile direttore,
leggo su “Avvenire” di martedì 24 novembre 2015, all’inizio della lettera intitolata «Un buon parroco e 270 vescovi: sintonia che non sorprende» che negando l’assoluzione e la Comunione ai separati in nuova unione «in definitiva si arriverebbe a una situazione di condanna eterna o di scomunica». Mi pare esagerato! In sessantacinque anni di ministero, anche quando il problema di cui sopra non c’era ancora, qualche volta ho dovuto negare l’assoluzione, perché non trovavo nel penitente le dovute disposizioni; non ho mai pensato di condannarlo all’inferno o di scomunicarlo, ma ho voluto evitargli due peccati di sacrilegio nei riguardi della confessione e della comunione, nutrendo nel contempo la speranza che, con la grazia di Dio, potesse ravvedersi e pentirsi. Sono convinto che se avessi chiuso gli occhi e permesso i sacramenti, io avrei peccato e non avrei aiutato quelle persone ad avvicinarsi a Dio. Quanto al titolo del “Botta&Risposta” tra don Gianluigi Carminati e il giornalista Luciano Moia sono d’accordo sul «buon parroco» e aggiungerei «in gamba», ma quanto al numero dei vescovi è proprio sicuro, caro direttore, che siano tutti unanimi? Il Signore e la Madonna ci benedicano!
don Francesco Silvestro - Fontanelle di Boves (Cn)
Grazie per la sua saggia testimonianza, gentile e caro don Francesco. Quanto ai vescovi cattolici, so che tutti sono in comunione con il Papa. E questo è ciò che conta. So anche che il Sinodo sulla famiglia, il Sinodo dei duecentosettanta, esprimendosi sempre con almeno la maggioranza dei due terzi, ha consegnato a papa Francesco un testo che per dottrina e visione pastorale è «in sintonia» – come il collega Luciano Moia ha ben segnalato – con la visione salda, chiara e accogliente nei confronti delle persone “ferite” da vicissitudini familiari espressa anche da lei e da don Carminati. La visione – riprendo i suoi aggettivi – di sacerdoti «buoni» e «in gamba». Noi tutti, ora, aspettiamo l’esortazione del successore di Pietro.