mercoledì 25 novembre 2015
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​Caro direttore,sono volontaria all’interno della Casa Circondariale di Pescara dove incontro detenuti che hanno la necessità di essere ascoltati per problematiche legate alla detenzione (famigliari-giudiziarie ecc.). Nel corso dei colloqui ho constatato quanto, persone da tempo rinchiuse tra quattro mura, siano coinvolte profondamente per fatti che accadono all’esterno. Le invio un testo poetico composto il 17 novembre scorso da un detenuto e dedicata a Valeria Solesin uccisa nei recenti attentati di Parigi. «Le urla strazianti / la musica metallica / il sangue innocente / di giovani fanciulli / riversi per terra / per colpa di bulli / trasformati in fanatici / da falsi ideologi / crudeli come belve / che mistificano la religione / la nostra Valeria era bella, colta e solare / amava la vita / il prossimo / e viaggiare / l’odio bestiale / le ha tarpato le ali / ma ciò nonostante vi ha già perdonati». Cordiali salutiRita Patricelli - Pescara
Gentile direttore, non vorrei sembrare cinica o irriverente, ho grande rispetto per l’enorme e composto dolore, che non avrà mai fine, dei familiari di Valeria Solesin, ma penso che in questa tragedia ci sia forse qualcosa di troppo: troppi personaggi, troppi servizi televisivi, addirittura funerali con presenza del Presidente della Repubblica; senza nulla togliere alla persona, ai suoi valori e a tutto ciò che ha fatto di bene nella sua intensa e purtroppo breve vita, vorrei far presente che la sua morte è stata fatalmente e terribilmente – mi si passi il termine – occasionale. Altre persone, penso ai missionari – non necessariamente religiosi o credenti – e, soprattutto, a chi si è sacrificato volontariamente per salvare vite altrui che, pur magari ricevendo post mortem un encomio o medaglie al valore, non ha avuto certo tutto l’omaggio e il cordoglio che ora si stanno attribuendo a Valeria. Capisco che l’eco dei fatti di Parigi sia inevitabilmente enorme, ma forse un po’ più di equilibrio e di equità verso altri morti rimasti quasi sconosciuti o ignorati sarebbe un bene. Ringraziandola per l’attenzione la saluto caramente.Anna Ardesi - Brugherio
Caro direttore, oggi, per l’ennesima volta, su Facebook ho visto girare il post di quelli che dicono «se non ti stanno bene i crocefissi nelle aule, vattene dal mio Paese». Ora, al di là delle considerazioni sulla figura di Nostro Signore Gesù Cristo e sulla Sua morte redentrice in croce (nelle quali non voglio addentrarmi, perché non credo proprio di avere le competenze per farlo), che, con quel «vattene», hanno comunque poca assonanza, chiedevo che senso abbia oramai affermare ciò, quando, due poveri genitori, che hanno perso una figlia, nati e cresciuti in Italia, figli, nipoti, pronipoti di italiani, vogliono un funerale laico in piazza, mettendo sullo stesso piano il Patriarca, il Rabbino e (ultimo arrivato nella storia del nostro Paese) l’Iman. Che senso ha dire «non togliete i crocefissi dalle aule!» davanti a ciò? Sarà stato il dolore enorme per la perdita della povera Valeria, ma io, da cristiano, mi porrei certe domande: dove abbiamo ceduto noi cristiani nella nostra “lotta” pacifica contro gli illuministi, i positivisti e i loro figli e nipoti di oggi? Sarà il caso di ricordare ogni santo giorno pubblicamente a tali discendenti degli illuministi e positivisti che, certi concetti di libertà, di uguaglianza e di fraternità (anche se, per quest’ultima, sembra che si intendesse la sodalità fra certi ...affiliati) sono di origine cristiana? Sennò, temo che il gregge, “guidato” dai mass-media dei suddetti signori, continuerà ad allontanarsi dalla Chiesa. Inoltre, qualche giovane dal “sangue caldo”, vedrà realizzati i suoi “ideali” fra quelli che combattono gli infedeli con le armi e in nome di Allah, senza chiedersi esattamente se il cristianesimo dei suoi padri e dei suoi nonni significa solo gli scandali, amplificati mala fide dai vari Nuzzi, Fittipaldi e dai mass-media dei suddetti signori, oppure qualcos’altro di grande. Grazie di tutto e cordiali salutiMario Natalucci - Fermo
Gentile direttore,ho solo una domanda, veramente sincera, perché da sola non trovo la risposta da darmi. In base a quale criterio le Autorità istituzionali civili e religiose – Presidente della Repubblica, presidente della Regione Veneto, Patriarca, Rabbino, Imam... – decidono di portare il loro omaggio e di presenziare ad una cerimonia funebre, civile o religiosa che sia, di un defunto, come nel caso di questa nostra connazionale veneziana rimasta vittima della strage di Parigi? Forse perché questa morte ha avuto una così grande risonanza mediatica? Inoltre, perché quando muore una persona considerata “importante” nell’opinione pubblica in genere riceve dalla Chiesa un funerale solenne, spesso concelebrato da più sacerdoti o addirittura Vescovi, mentre se muore un “poveraccio”, cioè una persona anonima, non ha questo tipo di cerimonia? La ringrazio per l’attenzioneMarina Capri - Castiglione del Lago
Gentile direttore,so bene che l’apposito cerimoniale contempla la celebrazione di “Funerali di Stato” anche in caso di «cittadini rimasti vittime di azioni terroristiche». Tuttavia, riferendomi all’attualità, mi viene d’andare contro corrente: la giovane, brava, ammirevole e sfortunata Valeria Solesin, perita nella strage di Parigi, avrebbe forse preferito un estremo saluto più comune e più sobrio.Rocco Boccadamo - Lecce
Sì, cari amici, sono stati «funerali di Stato» quelli di Valeria Solesin. Come la legge prevede e le autorità decidono ogni volta che uno di noi cittadini (italiani o stranieri, in Italia o all’estero) cade nell’adempimento del dovere o diventa vittima di violenza terroristica o mafiosa. Sono tra coloro che pensano che sia giusto. Penso anche che tutte le vostre lettere, persino là dove manifestano dubbi, finiscano per sottolineare l’appropriatezza di questo solenne omaggio, resa più evidente dalla profondità di ciò che papà Alberto e mamma Luciana hanno saputo testimoniare e far testimoniare. E apprezzo molto che la famiglia di questa giovane brillante e generosa – una famiglia cristiana per nascita, ma non "di Chiesa" – abbia voluto che i funerali si svolgessero in forma di «cerimonia civile». Insisto su questo aggettivo: civile. La cerimonia è stata civile e non laica – o, meglio, non laica in senso polemico – come più d’uno ieri soprattutto in tv ha insistito a equivocare. Civile perché espressione piena e vibrante dell’umano. Momento dolente e alto di una civiltà che, dunque, pubblicamente valorizza anche il fatto religioso e non solo perché la cristiana «benedizione» per Valeria è stata richiesta e portata dal patriarca Francesco Moraglia alla cui voce si sono, poi, aggiunte in modo altrettanto limpido e prezioso le voci delle guide delle comunità ebraica e islamica. È «la civiltà che vive», come titoliamo oggi in prima pagina, se noi sappiamo viverla. L’addio a Valeria Solesin, proprio come la sua esistenza troppo presto spezzata, conferma che se noi viviamo così, se non ci consegniamo all’odio, nessuna prova e nessun dolore possono abbatterci.
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