Lorenzo Curinga Genova
L’ipotesi di lavoro che lei tratteggia, gentile ingegner Curinga, è interessante. E infatti, da un po’ di tempo, è sul tavolo in uno dei suoi aspetti cardine: gli istituti di detenzione sull’acqua. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America questa idea è stata tradotta in realtà, qui da noi se ne parla. L’ultima occasione importante – Avvenire ne ha dato conto lo scorso 27 febbraio a pagina 12, con gli articoli di Nello Scavo – è stata offerta dal congresso del Sidipe (il Sindacato dei dirigenti degli istituti di pena) svoltosi a Trieste. In quella sede, la Fincantieri presentò addirittura un piano operativo per la realizzazione – in appena un anno di tempo – di «carceri galleggianti». Immagino che la drammatica (31 suicidi, 67mila detenuti in celle per 43mila persone la massimo) emergenza carceraria stia inducendo riflessioni supplementari su questa e su altre soluzioni al disumano sovraffollamento delle strutture esistenti, ma soprattutto sono certo che finirà per imporre una ricerca, persino affannosa, di rimedi efficaci, rapidi e non eccessivamente onerosi per ridare civiltà e senso alla detenzione e al recupero delle persone che hanno commesso reati. Credo, perciò, che l’argomento «carceri sull’acqua» potrebbe tornare presto di attualità, anche se so – il parere degli addetti ai lavori è quasi unanime sul punto – che si tratterebbe di una soluzione tampone, utile per agevolare la riorganizzazione e modernizzazione del nostro sistema carcerario. Il progetto da lei abbozzato, caro amico, è tuttavia a due facce, visto che riguarda pure la sistemazione e la valorizzazione urbanistica di un’importante area della sua bella Genova. Trovo che si tratti di una sfida affascinante, pensata per una realtà precisa eppure emblematicamente lanciata, nel nostro Paese peninsulare e insulare, a molte altre città. Le auguro che, anche a quest’ultimo proposito, la sua idea possa essere colta e valutata con giusta attenzione.
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