Un silenzio di vera luce
venerdì 29 marzo 2024

«Si fece buio su tutta la terra»: così il Vangelo di Marco (15,33) inabissa il lettore descrivendo il morire di Gesù. Si capisce subito che non si tratta solo della morte di un uomo ancorché, per alcuni, Figlio di Dio, ma della morte del mondo, dell’umanità, del creato. Il filo si riavvolge repentino al prima della luce, a quel caos, simile alla bocca del mostro, che figurava l’assenza della voce e della parola. Il silenzio, appunto, che precede ai Verbi con cui il Dio della Bibbia apparirà Creatore. «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso»: tohu wabohu fa risuonare l’ebraico originario con una suggestiva onomatopea (Genesi 1,2). Un’immagine di quello che, poi, i teologi cristiani penseranno come il nulla, quell’ex nihilo da cui Dio trarrà il tutto. Miracolo del sublime versetto terzo del primo capitolo di Genesi: «Dio disse sia la luce e la luce fu». Luce che non distruggerà le tenebre ma le porrà a intermittenza affinchè essa possa rifulgere e avvicendare la notte all’aurora: «Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo» (Gen 1,4.5).
Ed ecco oggi, in questo Sabato Santo, allungarsi le tenebre in una notte che abbraccia tre giorni. Le tenebre hanno bloccato l’ingresso della luce proprio nel tempo – il Sabato – che, per gli ebrei, è tutto di Dio. Pertanto tutta luce, tutta “origine” (letteralmente: “venire alla luce”). Oggi Dio è stato estromesso, privato del tempo del Creato. Non c’è spazio per Lui, resta il rimbombo di un altro tohu wabohu. Tutto è taciuto del lavoro e del lessico del Creatore e della Sua Sapienza, il Figlio, “costruttore” di pace, del mondo stesso. Pluralità in relazione, corpo munito di mille giunture. Giuntura Egli stesso: «Per creare dei due un uomo solo facendo la Pace» (Efesini 2,15). «In principio era il Verbo»: Lui, il Figlio, la Parola, «e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio» (Giovanni 1,1). Ma oggi il Suo Corpo è abbattuto, smembrato, colpito al cuore. La gola stretta, giace senza respiro. «Nelle tue mani consegno il mio spirito» aveva detto, morendo (Luca 23,46). Riconsegnando perfino quello “spirito” che “aleggiava sulle acque” in principio (cf. Gen 1,2), quasi cedendo al realismo del Qoèlet dove l’ultimo atto è il ritorno a quel prima: «…prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato» (12,7) e spegnendo, così, ogni speranza, prestando il fianco ai sospetti, ai dubbi sull’impossibile Sua resistenza alla morte: «noi speravamo ma… son passati tre giorni» (Luca 24,21). Noi avevamo creduto alla luce, alla forma della vita, alla resurrezione dalla dissoluzione. Avevamo creduto alla forza della Parola sull’assordante vociare della propaganda. Avevamo creduto alla potenza della mitezza sulla necessità della violenza. Avevamo creduto nell’efficacia del diritto sull’arbitrio della prepotenza e dell’ignoranza. Avevamo creduto nella bontà dei figli e delle figlie dell’umanità ma… questo silenzio così prolungato ci procura paura.
Questa eclissi di Dio diventa, ahimè – un’eclissi dell’umano. Ci infligge sbandamento, stonature. Questo silenzio che è eclissi della Parola intessitrice di reti di salvezza, di legami, di patti, di alleanze, di senso, di carità, di com-passione, ci rende un nulla di smemoratezza. Nonostante la memoria e pure l’intelligenza artificiale. Questo indugiare ineluttabile del fratricidio – che alle tre di ieri pomeriggio si è consumato e ad ogni ora del giorno e della notte viene ri-celebrato – rende sospeso il nostro respiro e vana la nostra fede. Nulla sta cambiando, tutto torna al passato. La luce del futuro, la novità, la pace, sembrano sciocchezze da incoscienti, da buonisti, pacifisti, bambinoni. Un silenzio che oggi si stende come una coltre irridente sulle tante, sagge parole dei padri e delle madri, dei vecchi e dei bambini, dei divini poeti del passato. Dell’Atena che invita, infine, Odisseo dicendo: «Contienti, e frena il desiderio ardente della guerra, che a tutti è sempre grave» (Odissea, XXIV,688-9).
Eppure c’è chi reagisce alla camicia di forza del mainstream che pretende la rassegnazione. C’è chi sa che occorre uscire quando ancora è notte per concorrere con tutte le forze a reclamare la luce. Occorre graffiare questo rabbrividente silenzio per carpire un nuovo: “sia”! Sia di nuovo la luce, quella: «Vera quella che illumina ogni uomo» (Giovanni 1,9) per consegnarla a chi la accoglierà.
La fede, la speranza, la certezza, nascono lì dove le parole si sono interrotte, sulla bocca dello stesso Signore: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). Il mattino rifiorisce dal perdono. Nel cavo del silenzioso crepuscolo del Sabato Santo si cela, la corsa della Maddalena, gioia d’abbraccio, come cetra che sveglierà l’aurora. Una selva di sguardi, l’ansia di un’umanità che profetizza allo Spirito: «Potranno queste ossa rivivere?» (Ezechiele 37,3). Maria, la madre, ripensa alla notte in cui il Figlio nacque rompendo di stelle quel buio e il cui raggio, sin da allora, si apriva nel suo giovane petto: «Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Luca 2,19) e oggi risplende nelle membra intenerite del Corpo della Pietà. Per dare all’umano la Forma riconciliata. «Arrivata alla cappella della Madonnina, si fermò e si accorse di una scritta sbiadita sul fianco che non aveva mai notato: Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà. Il silenzio aveva pensato. È questo l’insegnamento. Il silenzio e la luce, e l’inverno che finisce». (Silvia Avallone, Cuore nero)


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: