In un Paese come il nostro, immerso in un inverno demografico in cui non si riescono a cogliere segnali di disgelo, i circa 1.200 minori che quest’anno diventeranno italiani grazie all’adozione internazionale dovrebbero rappresentare non solo una gran bella notizia sul piano umano, ma anche un dato di grande interesse "politico". E accanto a tutti gli interventi possibili – ma al momento ancora rinviati e, dunque, inesistenti – per rialzare di qualche punto il deprimente tasso di natalità, si dovrebbero decidere azioni radicali per rovesciare la tendenza che negli ultimi anni ha visto il crollo dell’adozione internazionale.
Ma c’è un altro elemento, forse ancora più importante, che dovrebbe convincere la politica a schierarsi accanto alle "famiglie-coraggio". È il loro senso di generosità sociale, di solidarietà vera e profonda, quel sentimento che sollecita queste madri e questi padri a investire risorse importanti – spesso indebitandosi – per regalare speranza a chi l’ha smarrita. Innanzi tutto al bambino a cui, dopo iter lunghissimi e faticosi, apriranno le porte di casa. Poi al loro legittimo desiderio di genitorialità, tanto più lodevole perché inquadrato in una logica di altruismo in cui il figlio non diventa mai "diritto" da pretendere a ogni costo, ma rimane dono da cercare con disponibilità anche all’accoglienza del "diverso" e, oggi sempre più spesso, della fragilità e della malattia.
E poi c’è, non ultima, la ricchezza rappresentata dalle famiglie adottive sul piano della crescita civile, della rimozione sociale dei pregiudizi razziali, dell’integrazione dal basso. Quei volti di piccoli di origine asiatica, africana, latinoamericana, sorridenti tra una mamma e una papà italiani, sono il richiamo più potente al dovere e alla bellezza della fratellanza universale, mai così affievolita in un’Italia in cui i bambini immigrati possono anche rimanere fuori dalla mensa scolastica in base a regolamenti capziosamente modellati per attuare, dissimulandola, pura e semplice discriminazione.
Ecco perché, se la politica fosse totalmente e integralmente mezzo per la realizzazione del bene comune, un tema come le adozioni internazionali dovrebbe essere ai primi posti nell’elenco delle priorità. E anche in questi giorni convulsi di manovra, un presidente del Consiglio o almeno un ministro competente, dovrebbero trovare il tempo di ascoltare la voce delle associazioni, degli enti autorizzati, degli esperti del settore. Tutti coloro insomma che ieri si sono ritrovati a Firenze, per un convegno che è stato anche l’occasione per lanciare alla politica un grido d’aiuto. Peccato che, come in Italia succede ormai da troppi anni, la politica abbia deciso di non ascoltare o forse di non voler capire.
Purtroppo senza una guida politica competente e consapevole l’adozione internazionale rischia di avanzare con le ruote sgonfie. Nonostante la gestione appassionata e prudente della vicepresidente della Cai (Commissione adozioni internazionali), il magistrato Laura Laera - capace in poco più di due anni di rimettere a pieno regime una struttura indebolita dalle calcolate stranezze della precedente gestione - esistono ambiti in cui l’amministrazione non può fare a meno del sostegno politico. Al momento di siglare accordi con i Paesi da cui provengono i bambini per esempio, ma anche nelle situazioni di crisi, quando Paesi tradizionalmente 'generosi' decidono improvvisamente di chiudere le frontiere.
Vedi il caso Etiopia nei mesi scorsi o del Congo un paio d’anni fa. Formalmente la presidenza della Cai spetta al presidente del Consiglio che, come spesso avvenuto, assegna l’incarico al ministro (o sottosegretario) alla Famiglia. Soluzione che non sembra voler percorrere Conte, nonostante il sostanziale disinteresse finora mostrato dalla Presidenza del Consiglio per il pianeta adozioni. Si può sperare in una svolta? Si può, anche se la ragione induce a non farsi illusioni.
Ma senza interventi immediati non solo saranno sempre minori le possibilità per far incontrare possibili mamme e papà italiani con i 140 milioni di minori che nel mondo sono senza genitori, ma non potranno essere neppure liberate le risorse umane, la ricchezza sociale, le speranze di futuro nascoste nel cuore di questo mondo straordinario. E avremo perso un’altra occasione per costruire un Paese migliore. Come si fa a rassegnarsi? No, non si deve.