L’altra mattina, accendendo l’iPad, ho visto comparire un messaggio che mi informava su quanti minuti di media ero stata davanti allo schermo nell’ultima settimana. Mi sono sentita sorvegliata, e non è stato piacevole. Poco dopo ho fatto visita a una giovane mamma. Il suo bimbo di un anno e mezzo teneva in mano uno smartphone e ballava al suono di una canzoncina per bambini. Mi è sembrato preoccupante anche questo. Il primo motivo di inquietudine va ben oltre la nostra portata: ciò che facciamo finta di non capire nella nostra vita di tutti i giorni – che ogni nostra azione ha conseguenze e lascia tracce – acquista una consistenza inesorabile sul Web. La questione dei Big Data, di tutte le informazioni che sono raccolte a partire dai nostri comportamenti in rete e poi aggregate, rivendute e utilizzate per influenzarci in tutto – dai comportamenti di consumo alle scelte politiche –, è questione di pari gravità del riscaldamento globale del pianeta, e non può essere risolta in un giorno, né dai singoli.
Ma la seconda questione dipende da noi: quanto è comodo, e ormai comune, dare ai bimbi piccoli lo smartphone perché si intrattengano da soli, e quanto è sbagliato! Fin da prima che riescano a parlare li addestriamo ormai a poter fare a meno della relazione – salvo poi lamentarcene quando crescono.
Per questo il tema che papa Francesco propone per la 53esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, in programma il prossimo anno, pare quanto mai opportuno: «'Siamo membra gli uni degli altri' (Ef 4,25). Dalle community alle comunità». Intanto la frase di san Paolo illumina di luce nuova e quanto mai necessaria la scena sociale contemporanea, ossessionata da un’idea di uguaglianza come equivalenza. L’idea più astratta che ci sia, che l’immagine del corpo aiuta a confutare nel modo più concreto ed efficace possibile: il corpo è unità di diversità. Le membra, i tessuti, gli organi... tutto è estremamente differenziato, eppure così armoniosamente legato che se solo una piccolissima parte sta male tutto il corpo ne risente. La differenza è al servizio dell’unità e coopera attivamente alla totalità: se una gamba zoppica l’altra porta il peso. Né autonomia né supremazia, ma cooperazione e sostegno reciproco. In un mondo sociale in cui se non sei all’altezza delle performance richieste diventi scarto – e tutti prima o poi lo saremo – questa immagine è preziosa per riorientare il nostro sguardo sul mondo e gli altri. Comunione nella differenza è il contrario dell’individualismo competitivo e disumano, oltre che esternamente omologato, che ci circonda. È un 'noi' plurale, dove 'diverso' non vuol dire 'nemico' ma capace di portare qualcosa di unico e irrinunciabile al bene comune.
Che differenza c’è tra questa comunione e la community? Non credo che i due termini siano posti in antitesi, come se da una parte stesse il surrogato e dall’altra the real thing. È una logica dualista che non appartiene al Papa, e che continua purtroppo a fare molti danni. (Tra parentesi, visto come sono cambiate le cose, anche l’espressione 'continente digitale' è oggi poco adatta a parlare di una realtà che è sempre più mista, intrecciata nelle sue diverse dimensioni). Le communities sono aggregazioni più o meno temporanee, attorno a una questione di interesse condiviso. Non restano confinate in un mondo incorporeo ma elaborano significati che guidano i comportamenti nella realtà di tutti i giorni, da quelli più banali come le scelte di consumo o di alimentazione fino ad arrivare anche a creare movimenti di opinione attorno a temi delicati e influire sulle agende politiche.
Community/ comunione non è, in altre parole, l’ennesima alternativa dualista tra un virtuale inteso come inautentico e un reale di per sé buono. Il bisogno di community esprime già un rifiuto dell’individualismo egolatrico e del mito dell’autosufficienza, ed è di per sé positivo.
La comunione è però qualcosa in più: 'tutto l’uomo e tutti gli uomini', integrità della persona e inclusione. Nella comunione c’è la fraternità, difficile da fondare se non ci pensiamo figli di uno stesso Padre che ci ama.