Caro direttore,
nella rubrica “Prima Pagina”, da lei condotta la scorsa settimana su Radio3 si è parlato anche di economia e di finanza, in questo tempo di Manovra economico-finanziaria governativa. Le scrivo perché in quell'occasione l’ho sentita far sua un’espressione di papa Francesco, parlando di «un’economia e di una finanza che uccidono». Le dico subito che considero questo uno slogan ideologico e non vorrei sentirlo da dei credenti consci del fatto che è l’uomo ad essere colpito dal peccato originale e dalle varie concupiscenze, non la finanza o l’economia! Finanza, denaro ed economia sono strumenti neutri nelle mani dell’uomo, che – nella sua libertà – può usarli bene o male. Bisogna convertire il cuore degli esseri umani, e allora verranno rispettate le leggi. E chi può convertire il cuore? Forse qualche guru dell’economia, gli inconcludenti dibattiti politici o qualche talk show? Perché lei non riesce a fare una lettura cattolica della realtà? «Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta», dice il Signore. Quindi anche una migliore economia! Ma noi, purtroppo, siamo ancora all’ideologia.
Claudio Forti Trento
Lei mi scrive spesso, gentile signor Forti, da come lo fa devo però concludere che non ci legge altrettanto spesso e con minima continuità. Ovvio che l’economia non è un’entità, ma uno strumento... Questi sono sofismi, ma fragili. Andiamo al sodo. Mi pare che lei conosca poco sia quello che scrivo io (poco male), sia – soprattutto – quello che scrivono i miei colleghi ben più competenti di me in materia economica che assieme a economisti lucidi e coraggiosi si spendono da anni su queste pagine per indicare vie e buone pratiche alternative all’attuale sistema. Alternative che non rappresentano una sorta di “terza via” tra il collettivismo (fallito drammaticamente) e il capitalismo (trionfante eppure attraversato da sempre nuove fasi critiche), ma un altro modo di concepire e fare l’economia e la finanza e che non sono utopia, ma concreta possibilità e in diversi casi già realizzate. Alternative forti e gentili alle vie e alle dure pratiche prevalenti, realizzate nel tempo del “pensiero dominante che tende a farsi unico” (papa Francesco) e sempre più all’insegna di un capitalismo “selvaggio” (papa Giovanni Paolo II) o, se si preferisce, “sregolato” (papa Benedetto XVI). Ogni giorno, purtroppo, viene tristemente aggiornato il bollettino delle vittime – persone uccise o ferite e mutilate nella carne e nell’anima – di questa economia che è fatta così da esseri umani e non è nel disegno di Dio. Leggere un giornale come “Avvenire”, che dichiara e incarna la propria ispirazione cattolica, serve ad “ascoltare la realtà” – come nel caso di ogni altro giornale ben fatto – sapendo, per di più, di avere a che fare con professionisti – donne e uomini – che in questa redazione da cinquant’anni custodiscono e rinnovano uno speciale impegno a stare dalla parte «dei poveri, dei piccoli, dei deboli », di tutti coloro cioè che ci sono fratelli e sorelle in umanità e non hanno voce, né spazio e successo e ricchezza secondo la logica del mondo. In più, leggere “Avvenire” serve anche ad ascoltare meglio, e per davvero, in ogni stagione della vita della Chiesa e del mondo, la voce del successore di Pietro, il Papa (particolare, è bene ricordarlo, non esattamente irrilevante per un credente e un cittadino cattolico... ). Che siamo al cospetto di un capitalismo finanziarizzato che depreda l’economia reale e gioca sino all’assassinio speculativo con la vita delle persone non è uno «slogan ideologico», è una realtà. Ideologico è non vedere la realtà. Perché questo è il tempo che ci è dato e con la realtà dobbiamo saper fare i conti, e quando è sbagliata – e questa realtà economico-finanziaria è manifestamente sbagliata, resa sbagliata – siamo tenuti a lavorare per cambiarla o, se vuole, per convertirla. Non esiste il destino cinico e baro, esiste la nostra responsabilità di fronte all’umanità e a Dio. Ed esiste un “mercato” da rifare parte utile e giustamente regolata della vita dell’uomo e della donna e non “regola” e addirittura “ragione” di vita. I cristiani, caro amico, non sono i soli a porsi il problema. E non possono evitare di farlo perché sanno che «senza le opere», e opere di giustizia, la loro fede è inerte cioè «è morta». Grazie, comunque, per avermi ascoltato attraverso i microfoni di Radio3 Rai.