Ultima chiamata per l'Europa
sabato 11 novembre 2023

Mentre le operazioni militari israeliane continuano a macinare il triste computo di morte e distruzione nella Striscia di Gaza, la diplomazia internazionale sembra impotente nel fermare il conflitto e allo stesso tempo appare incerta su quale progetto politico possa offrire un futuro meno tetro ai più di due milioni di palestinesi colà intrappolati.

È ormai evidente come il presidente statunitense Biden fatichi a contenere gli eccessi della reazione militare israeliana: nonostante tutti i tentativi di Washington per imporre una tregua umanitaria, il premier Bibi Netanyahu, asserragliatosi con i ministri più oltranzisti del suo governo di ultra-destra, vuole una guerra lunga e condotta con brutale determinazione. È del resto un leader politico che sembra non avere futuro fermate le armi, dato che è ormai inviso a buona parte della popolazione israeliana, che per mesi ha duramente contestato i suoi tentativi di disarticolare l’equilibrio fra i poteri dello stato e che lo incolpa ora del fallimento del dispositivo di sicurezza il 7 ottobre scorso.

Eppure, mai come in questi giorni appare chiaro che vi è bisogno di un’azione internazionale coordinata e coraggiosa. Le armi prima o poi dovranno tacere e per allora, si spera il prima possibile, è fondamentale avere un progetto – o per lo meno un’idea condivisa – di cosa fare di Gaza e con il problema palestinese. Israele continua a ripetere di voler distruggere Hamas, ignorando apparentemente che questo movimento non è fatto solo di leader, ma rappresenta una ideologia che si nutre cinicamente del sangue dei bambini e delle donne palestinesi, e che non potrà essere eliminato solo con le armi. Occorre altro, ossia un’azione politica forte che ridia un minimo di credibilità all’Autorità Nazionale Palestinese, minata dalla sua incapacità e corruzione ma anche dalle continue umiliazioni che Netanyahu le ha inferto in questi anni.

Gli Stati Uniti si sono mossi con decisione e, va sottolineato, con coraggio; pur sostenendo pienamente Tel Aviv hanno cercato in tutti i modi di frenarne la voglia di vendetta, tentando di coinvolgere i paesi arabi nell’elaborazione di un progetto politico. Ma da soli non sono abbastanza: sono percepiti nelle piazze arabe come troppo legati al “nemico sionista”, anche nei Paesi di cui sono alleati, per risultare credibili. No, ogni futura azione politica dovrebbe vedere coinvolti i paesi arabi moderati, fra tutte le monarchie del Golfo, le quali in questi anni si erano avvicinate a Israele attraverso gli Accordi di Abramo.

Occorrono molti soldi per Gaza e la Cisgiordania – e le monarchie petrolifere li hanno – ma serve ancor prima una forza di pace che possa garantire un minimo di stabilità nella Striscia, dato che è impensabile che i carri armati israeliani vi possano rimanere a lungo, checché ne dica Netanyahu. E questa forza di pace non può essere occidentale, ma deve rappresentare uno sforzo congiunto della parte moderata di mondo arabo. Non sorprende, anzi sono molto comprensibili, le esitazioni e i dubbi dei leader arabi dinanzi a una sfida così ardua, che nasconde un’infinità di insidie. Ma è tempo che gli stati della regione, o almeno quelli più presentabili, riprendano in mano la questione palestinese, troppo a lungo ignorata.

Eppure anche loro da soli non bastano. Occorre altro, ossia una istituzione – oltre all’Onu - che possa proporsi come un attore non basato solo sulla forza militare, ma che abbia dalla sua una tradizione di regole, di principi condivisibili e di aiuto alla stabilizzazione delle società uscite da laceranti conflitti. E questo attore non può che essere l’Unione Europa.

C’è bisogno in Palestina che i Paesi e le istituzioni europee escano dalle loro miserevoli rivalità e distinguo. In questo mese, le capitali europee e la stessa Commissione sono state incapaci di trovare una linea comune, muovendosi in modo scoordinato e votando l’ultima risoluzione Onu su questo conflitto in tre modi diversi.

Ancora una volta abbiamo dimostrato di essere incapaci di agire come un attore internazionale credibile. Ma non è troppo tardi: davanti a noi vi sono mesi e anni di sofferenze di un popolo, quello palestinese, privo di una guida politica e quasi senza speranza. L’Europa può e deve aiutare nel mettere a sistema gli sforzi di coloro i quali vogliono che tanto gli israeliani quanto i palestinesi possano vivere con dignità e in pace. Tradiremmo le nostre radici più profonde di europei se non ci provassimo.

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