Caro direttore,
l’uccisione di un ladro, vero o presunto, è un diritto del cittadino? Oppure, la proprietà è sacra, al di sopra di ogni altro bene? In realtà, la proprietà non è il primo diritto della persona, ma uno strumento efficace per la sua affermazione e per la sua tranquillità familiare e sociale. Prima della proprietà e a essa sovraordinata è la vita; inoltre, sulla proprietà privata grava una “ipoteca sociale”. Dovrebbe essere questo il principio che regola i rapporti umani e ispira la legislazione e i giudizi dell’opinione pubblica al di là delle reazioni immediate di fronte a episodi di giustizia sommaria, che è sempre ingiusta e causa di ulteriore violenza. Peggio ancora se, sull’onda della paura e del risentimento, si andasse diffondendo il metodo di tipo americano del farsi giustizia da sé (il cosiddetto Far West), rinnovata barbarie: metodo tanto più ripugnante se sostenuto e diffuso da responsabili politici e amministrativi che, forti di una malintesa autorità, fondano aspirazioni politiche sulla paura, sull’egoismo e sull’ignoranza dei loro seguaci e si ergono a moderni profeti di una “lotta continua”: oggi gli emigranti, i ladri, gli accattoni… e domani? Eppure la vita, anche del più incallito delinquente, è sempre sacra: duemila anni di cristianesimo dovrebbero avercelo insegnato. Dare il tempo per un appropriato pentimento e per una giusta punizione dovrebbe essere il primo e vero compito di una giustizia obiettiva e rasserenante per tutti gli attori dl dramma.
Antonio Prezioso, Padova
Siamo in piena sintonia, caro signor Prezioso. Mi piace la sua argomentazione pacata e serrata sulla distanza che c’è tra il valore delle cose, di qualunque cosa, e l’impareggiabile valore di ogni vita umana. Ci sono perciò solo due pensieri su cui vorrei soffermarmi, e a maggior ragione in questi giorni in cui coltiviamo la memoria dei santi e dei nostri cari defunti. Il primo pensiero è proprio legato al valore della vita e alla santità: l’unico motivo per cui l’atto di spezzare un’altra esistenza diventa umanamente comprensibile è il pericolo imminente per la nostra stessa vita o per la vita di persone care o innocenti. Ebbene i santi e i martiri che rispettiamo e veneriamo, dei quali chiediamo l’intercessione presso Dio, sono uomini e donne che non solo ci dicono che è possibile vivere come Cristo l’amore per il Padre e per i fratelli, ma che come Cristo ci dimostrano che anche la vita dell’assassino – e la sua salvezza – viene prima della vita che ci è data. E io credo, come lei, caro amico, che ogni uomo e ogni donna – anche quelli che, come me, santi non sono affatto – possono farsi almeno una domanda decisiva: riuscirebbero a dormire sapendo di aver ucciso con le proprie mani un altro essere umano?
Il secondo pensiero è frutto di un insegnamento ricevuto da piccolo: riservare ogni tanto, e soprattutto il 2 novembre, una preghiera per coloro per i quali nessuno prega mai o prega più e che, magari, «ne hanno più bisogno». È una forma di carità alla quale ho pensato molto, provocato dalla morte violenta di rapinatori che si sono misurati con rapinati (o probabilmente tali) che avevano armi e che hanno deciso di usarle. Quei morti non hanno più tempo per “riscattare”, in termini umani e forse anche cristiani, la propria vita sebbene solo Dio sappia che cosa quella vita è stata davvero e qual è il giudizio che ognuno di loro merita. Ecco: in questi giorni, pregherò anche per coloro che sono stati uccisi mentre correvano sul crinale oscuro della nostra umanità. E come sempre pregherò Dio, qualunque cosa accada, di preservarmi dal male, dalla paura e dalla rabbia.