martedì 20 settembre 2011
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Gentile direttore,
il compiacimento e la malizia con cui molti mezzi di comunicazione italiani – per vendere di più –, beccano come le galline fra lo sterco e fra gli scandali veri o immaginari del nostro Paese, con un moralismo esasperante, mi fanno capire che essi non sono migliori di chi vorrebbero schiacciare e scacciare. Eppure l’Italia, nella sua storia millenaria, è stata capace di promuovere una cultura di bellezza e di amore, anche nel famoso e vituperato Medio Evo. Questa invece è la cultura della puzza e della bruttezza. Anche oggi però ci sono delle luci di bellezza, progresso vero e amore. Ma, ahimè, le galline non sono aquile!
Claudio Forti, Trento
Mi creda, gentile signor Forti, quella di «vendere di più» è alla fine un’illusione di breve durata. Informare si deve, ed è un servizio essenziale governato da regole chiare di rispetto dei fatti, delle persone e delle loro relazioni. Dovrebbe essere sempre attento alla complessa (e complessiva) realtà italiana (e del mondo) che non merita di essere snobbata e raccontata solo negli aspetti deteriori. Storie belle, scelte generose, fatti positivi non sono solo il lascito di una storia millenaria ma continuano a scriversi e ad esserci, e su Avvenire diamo a essi spazio. Questo per dirle che informare sul bello e sul brutto, senza reticenze, censure e autocensure è, dunque, una cosa. Sguazzare nella melma a lungo – e persino con «compiacimento e malizia», come lei rimarca – è tutt’altra. È uno sport sporco, che sporca anche chi si limita a guardare, figuriamoci chi lo pratica... Induce solo a disgusto: nei confronti dei protagonisti degli scandali, certo, ma anche della politica e dell’impegno pubblico in generale e degli stessi mass media. Più di qualcuno finge di non accorgersene. Più di qualcuno, tra gli editori e tra i miei colleghi giornalisti, non è d’accordo. Ma il guaio per tutta l’informazione italiana è che a non essere d’accordo con un certo modo di informare sono tantissimi lettori, ogni anno di più. E lo dimostrano, in edicola e col telecomando. Un’opinione pubblica male informata (e formata, a causa delle logiche e dei modelli proposti e imposti) è infatti un problema non solo "industriale" e di settore, ma di democrazia. A rendere più densa la melma congiura la pretesa di qualcuno di indire lo sguazzo obbligatorio. E di obbligare moralmente anche questo giornale a partecipare, stando al gioco dello scabroso e del moralismo d’occasione. Gioco duro, che da un paio d’anni è sempre lo stesso e avviene attorno all’identico protagonista principale – il premier Berlusconi – e all’incresciosa corte che, a quanto è emerso, lo ha attorniato tra il 2008 e il 2010. Uno sguazzo che si riproduce con le medesime modalità (nuove carte, nuove intercettazioni e nuovi morbosi dettagli su vicende tristi e indecorose già ampiamente note). E che sta provocando ulteriori e devastanti ricadute sull’immagine dell’Italia. La nostra opinione, confortata da pareri assai più autorevoli e risalenti all’inizio di questa storia, è arcinota: chi ricopre ruoli di responsabilità, rappresenta l’Italia e la governa è tenuto a svolgere il suo servizio in modo disciplinato e onorevole. E anch’io personalmente ritengo che questo criterio di stile sia un inevitabile criterio di giudizio, che pesa sul piano politico generale con la forza stessa della nostra Costituzione (che lo fissa all’articolo 54). La speranza è sempre la stessa, caro signor Forti, che questa fase confusa e convulsa venga superata in modo convincente, rapido e definitivo. All’inizio di questo 2011 il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, ci ha ricordato con accorata preoccupazione per l’Italia che «debolezza etica» e «fibrillazione politica e istituzionale» producono miscele esplosive. Continuare a sguazzare come se nulla fosse e lasciare che lo sguazzo continui è un dramma.
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