Caro direttore,
quando ero un giovane procuratore, uno dei primi casi che mi capitò fu quello di un’adolescente già in precedenza condannata per reati connessi alla prostituzione: era stata di nuovo colta ad adescare clienti sul web. Chiesi al giudice di sanzionarla con una pena esemplare. Invece, attingendo alla sua lunga esperienza con i minori vulnerabili, il giudice le concesse servizi di sostegno e assistenza. Anni dopo, mi sono ritrovato a perseguire i trafficanti di bambini e le persone che pagavano per avere rapporti sessuali con loro. Spesso ho ripensato a quel primo caso e alla mia inconsapevolezza di ciò che si celava dietro ai piccoli reati commessi da quella ragazzina: il fatto che fosse probabilmente costretta a piegarsi alla volontà dei suoi sfruttatori.
Si tratta di un errore ancora comune: molti Paesi continuano a perseguire e punire sistematicamente le vittime – compresi i minori – invece di offrire loro la protezione di cui hanno disperatamente bisogno. I trafficanti e i loro clienti, invece, godono di una relativa impunità. C’è stata indignazione per l’inetta gestione giudiziaria del caso Jeffrey Epstein, ma la verità è che non si tratta di un’eccezione. Si stima che nel mondo vi siano circa 25 milioni di vittime della tratta. I dati disponibili più recenti, appena pubblicati, ci dicono che nel 2018, in tutto il mondo, solo 11.096 trafficanti sono stati perseguiti.
Questo vuol dire che finisce sotto processo solo un trafficante ogni 2.275 vittime. Sorprendentemente, se ci soffermiamo sull’Europa, tra il 2015 e il 2018, i processi penali per reati relativi alla tratta sono diminuiti del 52%. Eppure non vi sono prove che il fenomeno sia in diminuzione. Al contrario, i casi accertati sono in costante aumento.
Ai rari trafficanti condannati, poi, viene comminata una pena che non è assolutamente proporzionata alla gravità del reato: spesso meno di sei mesi. Inoltre, la natura sovente transnazionale del crimine può creare insormontabili ostacoli giurisdizionali. In un sistema in cui le vittime vengono perseguite mentre i loro aggressori restano in libertà, qualcosa non quadra. Che fare? Si potrebbero per lo meno usare in modo più efficace gli strumenti già esistenti: dalle indagini finanziarie per tracciare i conti dei trafficanti, alle Squadre Investigative Comuni (Sic), multi agenzia. In base alla mia esperienza, comunque, gli operatori sanno cosa fare; a mancare fortemente è l’impegno politico.
Le indagini e l’azione penale sulla tratta non sono prioritarie in termini di risorse; i programmi di protezione e di assistenza alle vittime sono carenti; la prevenzione è, nella migliore delle ipotesi, approssimativa. Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’adozione del Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini, altrimenti noto come Protocollo di Palermo. Il Protocollo ha fornito la prima definizione giuridica concordata a livello internazionale della tratta ed esorta i firmatari a criminalizzarla e a perseguirla. Se la maggior parte degli Stati ha compiuto un primo passo importante, approvando leggi adeguate, molti di loro non hanno fatto il secondo e più decisivo passo: applicarle. Per porre fine alla tratta, dobbiamo imparare dai nostri errori e sostituire all’attuale cultura dell’impunità una cultura di giustizia.
La pratica di perseguire le vittime per i reati commessi a seguito della tratta deve finire. Dobbiamo invece processare rapidamente i trafficanti e i loro clienti in modo proporzionale al danno causato, assicurando la certezza della pena. Oggi, in qualità di Rappresentante speciale per la lotta alla tratta presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ho l’onore e la responsabilità di sostenere i 57 Stati partecipanti dell’Osce nello sviluppo e nell’attuazione di risposte efficaci. Insieme alla prevenzione e alla protezione delle vittime, l’azione penale è un elemento essenziale contro la tratta. Insieme, abbiamo l’opportunità e l’obbligo di intensificare i nostri sforzi, dando ai colpevoli un motivo per temere la legge e alle vittime una ragione per avere fiducia nel sistema penale.
Rappresentante speciale e Coordinatore per la lotta alla tratta di esseri umani dell’Osce