Caro Avvenire,
nei giorni scorsi ho ricevuto questo messaggio: «La bellezza è per i ricercatori di fessure, di soglie segrete, di fili pressoché invisibili». È un pensiero del teologo Angelo Casati. L’invito di chi me l’ha inviato è: «Buona ricerca». Giudico un 'rompicapo' lo scritto, ma mi piace impegnarmi in questioni che m’interessano. Credo che la bellezza, di cui scrive Casati, sia da collegarsi a un lavoro d’introspezione. Io non sono uguale a un altro, ma simile; posso quindi capirlo anche se mai in modo definitivo, perché ognuno di noi è un 'mistero'. La bellezza affascina, conforta, rende felici, perché se ne ha grandissimo bisogno in un mondo che appare sempre più brutto. Va ricercata con pazienza e perseveranza; bisogna andare avanti in silenzio e con discrezione. Si può guardare attraverso fessure, mai prima rilevate perché disattenti, arrivare a soglie inesplorate, raccogliere e unire fili sparsi, frammenti di pensieri in un 'tesoretto' da conservare con cura. L’altro, che si vorrebbe conoscere nel profondo della sua anima, può essere tanto umile da non voler mettersi in mostra per i suoi meriti e talenti, sfugge a qualunque apprezzamento e prova fastidio che si parli di lui perché ama un mondo diverso, dove non esistono tante parole, ma dove c’è una Parola che non passa mai di moda ed è eterna. Come l’edera si stringe al suo albero della vita e continua a salire, desiderosa di arrivare alla cima, così chi si rende conto che esiste in qualcuno la bellezza, vuole cercarla incessantemente. C’è un rischio. L’edera può soffocare il suo albero e l’amore umano può provocare lo stesso danno. Amare veramente significa staccarsi dalla persona amata nel momento opportuno e lasciarla libera di vivere, senza pensare di possederla. Mi piacerebbe che qualche lettore del nostro giornale continuasse il discorso della bellezza proposto da Casati, perché non si finisce mai d’imparare.
Adriana Verardi Savorelli - Ascoli Piceno
«La bellezza è per i ricercatori di fessure, di soglie segrete, di fili pressoché invisibili». Questa frase mi ha riportato in un istante a quando, bambina, in lunghe estati solitarie in montagna, camminavo per i prati attorno a casa, nel silenzio del primo pomeriggio, e scoprivo sempre nuove meraviglie. Il sapiente tessere la tela di un ragno, l’avvicendarsi laborioso delle api all’alveare, il formarsi dei boccioli delle rose, nell’orto. La forma strana e misteriosa di certe nuvole, la verginità delle cime ancora innevate all’orizzonte, il profumo di resina dai boschi. Era un mondo di bellezza quello che mi si rivelava: forse perché appunto ero appena una bambina, forse perché proprio la solitudine e il silenzio creavano attorno a ogni particolare quasi una lente, che mi permetteva di osservare la profondità delle cose. Rimpiango quel mio sguardo infantile. Ho provato, a tornare esattamente negli stessi luoghi, ma non ho più saputo vedere ciò che vedevo un tempo. «La bellezza è per i ricercatori di fessure, di soglie segrete, di fili pressoché invisibili», è la frase che la lettrice ci dona, come un compito da decifrare e svolgere. Cercare, nella quotidianità della vita, la bellezza che si nasconde dentro all’apparenza immediata delle cose. Come quelle piccole piante selvatiche che in primavera spuntano nelle crepe dell’asfalto delle nostre città, affondando le radici in pochi grammi di terra rubata ai marciapiedi. Come gli occhi ancora perduti nella dolcezza di un limbo dei neonati in carrozzina. O lo sguardo, buono e raro, di qualcuno che veramente ci comprende e ha misericordia di noi. Cercare la bellezza non è estetismo, non è un lusso, ma è qualcosa che infonde una genuina gratitudine. E questa gratitudine può generare letizia, anche in momenti in cui c’è ben poco da essere lieti. Come testimonia nelle sue 'Lettere' (Adelphi) dal campo di raccolta di Westerbork la giovane ebrea Etty Hillesum, prigioniera, in attesa della deportazione a Auschwitz, eppure capace di essere lieta per la bellezza di un arcobaleno. La signora Verardi Savorelli invita a proseguire il discorso sulla bellezza generato dalla frase del teologo Casati. La lascio con queste parole di Clive Staples Lewis, l’autore de 'Le cronache di Narnia', tratte da 'Prima che faccia notte'(Bur): «Quanto a Dio, dobbiamo ricordare che l’anima è solo una cavità che egli riempie». ( E già qui, c’è di che fermarsi, e tacere). «Non è forse vero – domanda poi Lewis – che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate sempre di trovare, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, fino alla vecchiaia? (…) Se questa cosa dovesse finalmente manifestarsi – se mai dovesse sentirsi un’eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso – voi lo sapreste. Al di là di ogni dubbio possibile direste: 'Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato'. Non possiamo parlarne gli uni agli altri. È la firma segreta di ogni anima, l’incomunicabile e implacabile bisogno».