Prima la pandemia, poi l’aggressione russa dell’Ucraina, l’esplosione del prezzo del gas, l’inflazione che ha creato in un anno più di 300mila nuovi poveri, infine il conflitto tra Israele e Hamas. Viviamo un’epoca di choc globali che per essere affrontati richiedono un drastico cambio di paradigma.
È maturo il tempo in cui la società civile può e deve prendere coscienza e consapevolezza dell’importanza del suo ruolo per la costruzione della pace, un compito della cui importanza ci rendiamo conto forse solo in momenti drammatici come questo per la tenuta e la crescita delle democrazie e del bene comune. Esiste oggi nel nostro Paese, per storia e tradizione che si ravviva con nuovi germogli e frutti, una società civile ricca e organizzata in molti corpi intermedi che non ha eguali negli altri Paesi.
Chi vive, lavora o presta attività di volontariato in questi ambiti lo fa spesso a testa bassa per perseguire l’obiettivo sociale oggetto della propria attività (culturale, sociale, di welfare) e spesso non si rende conto del fatto che la sua opera produce allo stesso tempo come esternalità positiva partecipazione, cittadinanza attiva e dunque quel capitale civico e sociale senza il quale una democrazia non può sopravvivere. Coscienza e consapevolezza di sé dovrebbero arrivare dal comprendere come nel corso degli ultimi anni la società civile ha di fatto costruito sul campo un nuovo paradigma e ha elaborato e fatto maturare soluzioni politiche che poi sono state trasformate in leggi da rappresentanti delle istituzioni e dei partiti.
Il nuovo paradigma che noi chiamiamo economia civile è illustrabile sinteticamente in quattro passaggi chiave. La persona è qualcosa di più dell’homo economicus perché capace di cooperazione, fiducia, dono e dunque in grado di realizzare quella quinta operazione matematica (uno con uno maggiore di due) che è foriera di generatività economica e sociale. Questo modello di persona ci consente di passare da un modello tipico della vecchia economia che favorisce conflitti e guerre (la torta è fissa e lottiamo per contenderci le fette) ad uno che stimola inclusione (la torta la costruiamo insieme e può essere più grande se cooperiamo nella ricchezza della diversità). L’impresa è qualcosa di più del massimo profitto come dimostra una nuova generazione di buone pratiche e di imprenditori più ambiziosi che puntano non solo al profitto ma anche all’impatto sociale e ambientale.
Il benessere è qualcosa di più del Pil ed è generatività, ovvero creazione delle condizioni che rendono più facile e possibile la realizzazione di progetti di vita e la fioritura della vita umana. La politica economica è qualcosa di più delle decisioni dall’alto perché i successi dei territori sono stati storicamente determinati in gran parte dalla capacità delle loro comunità di mettere in campo azioni generative dal basso con una mentalità contributiva (“cosa posso fare per la mia comunità”) piuttosto che estrattiva (“quante risorse economiche posso estrarre dalle istituzioni o dai miei simili sfruttando rendite o posizioni di vantaggio”).
La consapevolezza (e direi l’orgoglio) della propria forza deve maturare dalla riflessione attorno a recenti azioni politiche di successo dove le idee maturate dalla società civile hanno prodotto avanzamenti significativi. Si pensi alle modifiche introdotte nella Costituzione agli articoli 9 e 26 che sottolineano l’importanza di ambiente e salute nell’attività economica a seguito di una proposta di Asvis, una delle maggiori reti di organizzazioni della società civile del nostro Paese. Si consideri la recente approvazione del credito d’imposta per il fotovoltaico sui tetti delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane con la quale il governo ha fatto propria una proposta di Next e della Confederazione Nazionale degli Artigiani.
Si consideri ancora la recentissima iniziativa di Elis che con un consorzio di imprese ha creato Distretto Italia e le tante scuole dei mestieri, che esponenti del governo hanno riconosciuto essere un’iniziativa innovativa e di avanguardia nel contrasto ai Neet e nella risposta al problema del mancato incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.
La nostra società civile è anche all’avanguardia nelle iniziative di promozione della pace, come nel recente movimento dei corpi civili di pace e nella tradizione di Rondine che da decenni ad Arezzo costruisce percorsi di formazione superiore per giovani provenienti da nazioni in conflitto. Nella recentissima Laudate Deum papa Francesco riconosce l’importanza di questi processi applicandola all’ambito dei limiti della cooperazione multilaterale tra Stati e ricordando come «tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani», facendo poi riferimento al processo di Ottawa contro l’uso, la produzione e la fabbricazione delle mine antiuomo «che dimostra come la società civile e le sue organizzazioni siano in grado di creare dinamiche efficienti che l’Onu non raggiunge».
È pertanto maturo il momento nel quale (e l’iniziativa di Piano Bi lanciata quest’estate lo testimonia) la società civile deve e può rendere concreto e visibile quello spartito per il bene comune su cui invita forze politiche e opinione pubblica a cooperare e lavorare insieme. Partecipazione, cittadinanza attiva, amministrazione condivisa, comunità energetiche e comunità di cura sono solo alcuni dei principi e delle declinazioni verso cui camminare insieme nel prossimo futuro per essere sempre più consapevoli di questa storia e tradizione civile che è garanzia del bene comune nel nostro Paese.