mercoledì 15 maggio 2013
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Quasi quasi si potrebbe ricorrere, con assonanza allusiva assolutamente voluta, al vecchio brocardo medievale: «Nisi caste, tamen caute» (ossia: se non pudicamente, almeno si agisca con cautela). Il riferimento è alla decisione dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio, che ieri, a larga maggioranza (ma con il “no” di Fratelli d’Italia e Lega e l’astensione di Scelta civica e di M5S, che la vorrebbe anche per i comuni cittadini), ha esteso ai conviventi omosessuali la possibilità di usufruire dell’assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Variegata come certi gelati di ultima generazione la gamma delle giustificazioni a sostegno della scelta: equiparare gli onorevoli ai dipendenti della Camera, dare il “buon esempio” cominciando dall’alto, aprire una breccia, evitare “semplicemente” una discriminazione, far compiere al Paese uno “storico” passo avanti. E così via, minimizzando o enfatizzando a seconda dei casi. Resta il fatto, semplice e nudo nei suoi contorni essenziali: la legislatura ancora neonata si apre con una decisione dall’evidente valore simbolico e certamente dimostrativo, almeno nelle intenzioni di chi, dall’interno dal Pd, ha fatto la prima mossa. E dunque adesso c’è da attendersi la rincorsa a nuovi traguardi, magari proprio nel nome della sacrosanta, ma in questo caso assai ipocrita, lotta ai privilegi di una casta che, tanto per non smentirsi, ha provveduto subito a sistemare gli affari di famiglia. Anche se famiglia non è.
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