Caro Avvenire,
ti ringrazio perché ribadisci con le tue cronache e con commenti come quello dedicato a Youssef-Giuseppe Hosni e alla grande marcia per l’accoglienza tenutasi a Milano la posizione autenticamente cristiana sui temi delle migrazioni forzate, con schiettezza e forse anche a costo dell’impopolarità. Mi spiace molto per certi sedicenti cattolici che con faciloneria si fanno contagiare dall’intolleranza, che è una posizione irrazionale prima ancora che immorale. Perché il disagio sociale esiste e alimenta l’estremismo da sempre. Una volta magari era quello politico. Da qualche parte ora è la camorra ad approfittarne. In altri contesti è l’estremismo islamico. E non vedo altre strade dell’azione sociale mirata per prevenirlo. Se solo Hosni fosse stato aiutato... O magari lo fossero stati il padre e la madre, che erano ai margini anch’essi. Non ci sono altri modi.
Gianni Balduzzi via Facebook
Su Facebook i commenti a quanto Avvenire ha scritto in questi giorni sulla marcia pro migranti di Milano e sulla storia di Youssef-Giuseppe Hosni, il giovane italo-tunisino arrestato alla Centrale e indagato anche per terrorismo, erano per lo più negativi. Sulla linea del “rimandateli a casa”. Non credo che tutti quelli che si affacciano sulla pagina Facebook di Avvenire siano lettori di questo giornale, ma certo nemmeno i cattolici sono del tutto estranei alla intolleranza e la paura che pervadono ampi settori della società italiana. La paura di essere invasi, la paura di un impoverimento, la paura che la casa e il lavoro vadano ai nuovi arrivati. La paura, assolutamente comprensibile, di certe periferie difficili in cui tremi, la sera, pensando che tua figlia sta tornando a casa. Come dice il signor Balduzzi, il disagio sociale alimenta da sempre l’intolleranza. Può accadere anche a noi, fra noi. Ma, il fatto di essere cristiani deve pur fare una differenza nello sguardo su ciò che ci sta accadendo davanti. Se le navi gremite di africani che attraccano a Lampedusa ci fanno temere una invasione, deve pur esserci in noi un altro sguardo: quello che non vede la massa, ma ogni singolo uomo, con la sua faccia, i suoi occhi e la sua storia di fuga e di miseria. Non voglio dire che debbano restare tutti: che il Governo provveda a distinguere chi ne ha diritto. Gli occhi bene aperti però, come cristiani, credo, dovremmo averli su ogni uomo. Dovremmo sapere immaginare il dramma del distacco dalla patria e da casa, il viaggio infernale, la reclusione e i maltrattamenti o peggio in Libia, e poi la gran paura, per sé e per i figli, in mare aperto, alla deriva. Dovremmo sapere immaginare e com-patire, patire insieme. Cosa che non si accorda con una certa rabbia, con certi sussulti di razzismo. Centomila alla marcia pro migranti a Milano. Commento sul nostro sito Facebook: «Gli alberi saranno stati presi d’assalto, immagino». Ci ho messo qualche secondo a capire. Gli alberi, le scimmie stanno sugli alberi, i neri come scimmie. Questo no, non è possibile. Questo sicuramente non era un cristiano. Noi abbiamo l’imperativo interiore di uno sguardo buono su ciascuno. Perfino su Youssef-Giuseppe Hosni, l’accoltellatore delle Centrale ora sospettato di terrorismo. Che è un ragazzo di 21 anni, età a cui ancora i nostri figli li coccoliamo come ragazzini; figlio di madre e padre finiti in carcere per maltrattamenti, stupro, furto; figlio abbandonato di una famiglia sfasciata. Figlio cacciato dalla sua stessa madre, e finito a dormire per strada e nei dormitori pubblici. Ieri, nell’interrogatorio, Youssef-Giuseppe Hosni ha chiesto di poter parlare con la nonna, in Tunisia. Forse la sola che gli vuol bene. Quando viveva con lei, è riuscito a prendere la terza media. Lo vedo strano, un terrorista islamico convinto e pronto al sacrificio, che domanda della nonna. Che fosse un povero Cristo, di cui nessuno si è curato? Se solo Hosni fosse stato aiutato, dice il lettore, e aggiunge: «Non c’è altro modo». No, non c’è, da cristiani, un altro modo.