Caro direttore, vorrei tornare sulla bella riflessione di Davide Rondoni sul cantautore Lucio Dalla («Lucio resti lontano dai banchi», Avvenire del 5 marzo scorso), da lui peraltro conosciuto e stimato. Perché ammetto di aver letto con stupore e disappunto la conclusione dell’articolo del poeta: «A te lassù, Lucio, auguro di non diventare mai materia scolastica. Anzi, spero che siano tolti anche Dante e Manzoni e Ungaretti, così da restare nel campo della vita e non in quello – grigio burocratico – dei programmi scolastici. Nessuna cosa bella si impara ad amare per obbligo. Ma per passione. Un ministro dovrebbe saperlo». Il tema, già affrontato da Umberto Eco in una sua gustosa riscrittura dei Promessi Sposi, allo scopo di cercar di sottrarre i giovani alla noia del testo manzoniano imposto dai programmi scolastici, è stato ripreso dal presidente del Consiglio Renzi, in una ancora recente conferenza alla Luiss. «I Promessi Sposi a scuola – ha detto – andrebbero aboliti per legge», per evitare che quello che è un capolavoro diventi un libro odioso per gli studenti. I paradossi, quando sono azzeccati, servono per dare maggior risalto a qualche verità. Purtroppo si prestano anche a fraintendimenti. Nel merito, mi chiedo se sia giusto lasciar intendere, magari anche solo per la semplificazione giornalistica di una battuta che, in generale, la scuola sia una sorta di "re Mida alla rovescia", che trasforma in piombo tutto l’oro che entra nei suoi programmi, e che i rischi di uno studio obbligatorio siano superiori ai vantaggi che se ne vogliono ricavare. I latini concepivano lo
studium come desiderio, amore e passione, ma ritenevano anche che occorresse mescolare il dolce all’utile, e che non vi fosse nessun desiderio di ciò che è ignoto. Non nego che ci siano, nella scuola, anche «insegnanti pigri e ignoranti», e che non tutti sappiano leggere e indurre a leggere Dante, Manzoni e Ungaretti come sanno farlo Benigni, Sermonti, Eco, Baricco, D’Avenia o Rondoni in aula o in qualche teatro, per una platea di giovani interessati ad ascoltarli. Mi sembra però che un Governo e un Parlamento impegnati ad assicurare alle giovani generazioni una «buona scuola» non debbano nascondere i gioielli della nostra cultura, lasciandoli alla casualità di scoperte fortunate, nell’ipotesi che la scuola sia un’istituzione allo sfascio, capace solo di svilire e di far venire a noia tutto ciò che entra nelle "indicazioni nazionali".Mi ha colpito, tempo fa, che una scrittrice del valore di Susanna Tamaro abbia scritto sul "Corriere della sera" di non aver mai personalmente letto la Costituzione e di non ritenere opportuno che se ne occupasse la scuola, perché «la Costituzione più bella è quella scritta nel cuore». E allora perché studiare nella scuola (e nella vita) Platone, e anche i Vangeli, se ciò che serve sono solo l’amore e la passione? Non possiamo togliere tutta la gramigna che cresce nei campi, ma il grano e l’uva vanno coltivati con metodo e competenza, non attesi dalla sola spontaneità della natura.
Luciano Corradini, emerito di pedagogia generalenell’Università di Roma TreLa visione appassionata e, diciamo così, de-programmatrice di un poeta e di una scrittrice e la concorde e – al solito – fulminante battuta del premier in carica contrapposte alla dedizione altrettanto appassionata di un grande pedagogista. Che bello, che interessante... Di questi tempi, parliamo e scriviamo più del consueto, e un po’ ovunque, di «buona scuola». Lo facciamo spinti e rimotivati – ma mai abbastanza, a mio parere – dalla riforma che il Governo Renzi ha messo in cantiere e che, ora, è affidata al libero dibattito parlamentare. E mi piace che le riflessioni che su queste pagine, e altrove, toccano nodi sensibili suscitino reazione e interlocuzioni civili e forti come la sua, caro professor Corradini (chi conosce il suo lungo e, purtroppo, incompreso impegno per introdurre una salda e vera "Educazione civica" nelle scuole capisce bene perché le parole di Susanna Tamaro l’abbiano così colpita). Per questo le faccio spazio con una gratitudine che lei già conosce e che le confermo. E con altrettanta libertà – e meno cognizione di causa di altri – provo a dire brevissimamente la mia almeno su un punto, memore delle giornate, delle provocazioni più preziose e degli insegnamenti e degli incontri più motivanti che hanno segnato il mio percorso scolastico (e quello delle mie figlie). Vorrei più letteratura e lettura "vitale" a scuola, certo non meno. Vorrei accanto agli imprescindibili grandi del passato – «i miei maggiori», scriveva con umiltà ed eleganza Giuseppe Ungaretti – nuove pagine di prosa e di poesia offerte come pietre di paragone e non per discutibile e, a volte, incresciosa scelta "ideologica" (purtroppo accade), ma per valore e per servizio reso all’arte, alla lingua e all’intelligenza che sono nostro comune patrimonio. E mi pare, invece, che troppo poco e troppo male si faccia spazio alla grande scrittura novecentesca e contemporanea nello studium offerto oggi nelle scuole della Repubblica.