Caro direttore,
ho letto e apprezzato l’editoriale di Toni Mira sulla vicenda (anche giudiziaria) di Mimmo Lucano. L’ho trovato, come sempre, equilibrato, completo, illuminante. Ho letto poi la lettera di Eugenio Mazzarella, a te indirizzata, sabato 2 ottobre e la proposta in essa contenuta e alla quale hai deciso di dare spazio. E ho ringraziato Dio. Ci troviamo tra due fuochi. Da un lato la sentenza emessa dalla magistratura di un Paese civile e democratico, che va rispettata; dall’altro lato, la storia di un uomo che in questi anni è assurto a icona dell’accoglienza degli immigrati. Errori, Mimmo Lucano, ne ha commessi, eccome. Eppure la severissima condanna rimediata lascia perplessi anche i suoi avversari e persino i suoi nemici. La legge è legge e su questo non ci piove, ma ci rimane l’amaro in bocca. In questi giorni ho ripercorso un po’ la mia esperienza di questi ultimi dieci anni che mi hanno visto, mio malgrado, protagonista di una lotta che mai avrei pensato di dover affrontare – non fosse altro perché del tutto impreparato –; anch’io ho capito tante volte di rischiare grosso. Certi proprietari dei terreni inquinati erano giustamente arrabbiati e con loro i camorristi e gli industriali disonesti che per decenni, pressoché indisturbati, avevano avvelenato le nostre terre e le nostre vite. Una sera me li ritrovai sotto casa, con fare minaccioso. Un po’ di paura c’è stata e ancora c’è. La vera preoccupazione, però, non veniva da loro, ma da quei politici che negli anni si erano sporcati le mani e arricchiti grazie a questi affari maledetti. Alcuni di essi erano ancora sulla cresta dell’onda o legati da rapporti di parentele, amicizie o di partito ai vecchi responsabili dello scempio. Insomma, avevano e hanno la necessità di stringere il bavaglio sulla bocca di chi grida per farlo tacere. Negare. Negare. Negare. «È facile mettere a tacere un uomo, basta un colpo di pistola o una semplice calunnia. Ancora più facile, se quest’uomo è un prete», ricordo di aver scritto in un articolo. Il rischio di essere denunciato per procurato allarme non era peregrino. Certo, perché davanti all’impermeabile muro di gomma di tante autorevoli personalità che negavano l’evidenza o tentavano di sminuirne la portata, l’unica arma che avevamo io e tantissimi volontari era quelle della protesta. Proteste che non a tutti piacevano. Sono stato fortunato, in primo luogo, perché ho avuto te e 'Avvenire' al mio fianco; poi perché tutto ho fatto in comunione con il mio vescovo, Angelo Spinillo, e il cardinale Crescenzio Sepe. Della tragica realtà dei morti per cancro nella 'terra dei fuochi', che andavano aumentando a dismisura, i medici dell’ambiente, i miei confratelli e io eravamo certi. Sì, ma le prove? Gli studi certificati? Già, le prove. Tutti sapevamo che le prove non c’erano per le omissioni e gli imbrogli perpetuati nel passato. Allora? Che cosa fare? Starsene con le mani in mano o darsi da fare rischiando di essere denunciato o messo alla berlina? Il mio essere prete e il dialogo continuo con i vescovi campani mi hanno protetto. Problemi ne ho avuti, ma solo a livello mediatico, mai nessuna denuncia. Quando abbiamo avuto l’idea di mettere insieme le 'mamme orfane' perché gridassero, insieme ai loro figli che non c’erano più, fui accusato di strumentalizzare 'i morticini' e cose del genere. Avevo messo tutto in conto. In questi giorni ho ritrovato - non ricordavo di averlo scritto - il testamento spirituale redatto in quei mesi tanto faticosi. Con le autorità civili e politiche sono sempre stato prudentissimo. Ma è stata ed è dura. Il mare che si stende tra il dire e il fare è insopportabile. In privato, tutti - e dico tutti - mi davano ragione, ammettevano lo scempio, mi esprimevano la loro solidarietà, mi incoraggiavano. In pubblico, però, ognuno si proteggeva dietro le leggi. Solo all’inizio di quest’anno, l’Istituto superiore di sanità ha ammesso che si, è vero, nella 'terra dei fuochi' ci si ammala e si muore di cancro più che altrove. Nel frattempo, però, abbiamo già accompagnato al camposanto tanti nostri cari. Permettimi, perciò, direttore, di abbracciare Mimmo Lucano. Permettimi di sperare che la condanna sia rivista in appello. No, non sono le persone come Mimmo la palla al piede del nostro Paese. Il fatto è che coloro che, in certi contesti, vengono chiamati eroi ed elogiati per il loro coraggio, tante volte, si ritrovano del tutto soli ad affrontare problemi umanitari immensi, e possono sbagliare mettendo le persone prima delle leggi. Sono il parroco di un quartiere povero, stritolato nella morsa della droga e dei fetori velenosi dei roghi tossici e delle industrie clandestine. Povero tra i poveri, mi trovo a mio agio. Credo perciò che spetti a noi l’onore di dare il primo contributo alla sottoscrizione che il professor Mazzarella e tanti altri hanno lanciato a favore di Mimmo Lucano su 'Avvenire'. Pochi soldi, per quanto mi riguarda, e tanta preghiera.
don Maurizio Patriciello