Nel suo primo giorno da presidente, Trump ha firmato un ordine esecutivo che ritira gli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), mossa che rende gli Usa e gli altri Paesi del mondo meno sicuri nei confronti di tutte le minacce alla salute pubblica. L’impatto di questa decisione può non essere immediatamente compreso, ma dato il mondo in cui viviamo e tutti i fattori di rischio di malattie esistenti, è evidente che nessun Paese è in grado di vincere da solo e che le conseguenze saranno gravi per tutti. I Paesi ricchi, infatti, non sperimentano molte delle malattie infettive diffuse nei più poveri proprio perché vengono fermate all’origine, spesso attraverso il supporto e il coordinamento dell’Oms.
È la seconda volta che il presidente americano tenta di uscire dall’Oms. Nel 2020, durante la pandemia, Trump aveva inviato una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite dichiarando l’intenzione di ritirarsi. Sebbene i finanziamenti statunitensi si fossero immediatamente interrotti, il ritiro non è poi avvenuto: circa sei mesi dopo, Biden, nel suo primo giorno in carica, ha deciso che gli Stati Uniti sarebbero rimasti.
Ora Trump cita la «cattiva gestione da parte dell’Oms della pandemia di Covid-19 emersa a Wuhan e altre crisi sanitarie globali, la sua incapacità di adottare riforme urgenti e la sua incapacità di dimostrare indipendenza dall’inappropriata influenza politica degli Stati membri dell’Oms». L’ordinanza afferma anche che le quote associative degli Stati Uniti – da 100 a 122 milioni di dollari nell’ultimo decennio, la cifra annua più alta tra i Paesi membri – sono «ingiustamente onerose» e «sproporzionate rispetto ai pagamenti di altri Paesi».
L’accordo del 1948 tra Usa e Oms è stato stipulato tramite un atto con il Congresso, e non è chiaro se per il ritiro sia necessaria anche un’approvazione del Parlamento americano. Diversi leader accademici e di sanità pubblica stanno già valutando ricorsi, come Lawrence Gostin, professore di Diritto sanitario globale alla Georgetown University, direttore dell’O’Neill Insti tute, centro collaboratore con l’Oms, per il quale l’ordine esecutivo determina la cessazione immediata dei pagamenti.
Con 194 Paesi membri, l’Oms è responsabile di una serie di importanti programmi di salute pubblica. È stata determinante per l’eradicazione del vaiolo e il drastico ridimensionamento della poliomielite, e ogni anno determina quali ceppi di influenza e Covid-19 includere nelle versioni aggiornate dei rispettivi vaccini. Far parte della rete internazionale diventa poi fondamentale quando emerge una nuova minaccia. I Paesi interessati infatti segnalano nuovi focolai epidemici e condividono i campioni microbiologici con l’Oms che trasmette le informazioni a tutto il mondo. Se gli Stati Uniti si ritirano, la capacità di accedere a tutto questo sarà fortemente compromessa.
L’Oms fornisce anche linee guida sanitarie per i Paesi che non hanno le risorse per creare raccomandazioni sanitarie per le loro popolazioni, come consigli sull’allattamento al seno, il diabete, la cessazione del fumo, le infezioni correlate all’assistenza e l’anti-microbico resistenza. L’Oms non è esente da critiche, ma il ritiro e il taglio dei finanziamenti non è il catalizzatore più efficace per cambiare. E infatti nessuno l’ha mai fatto, a eccezione nel 1949, ancora per motivi politici, dell’allora Unione Sovietica e di alcuni Stati satelliti in Europa orientale, tutti poi rientrati nel 1956 in seguito all’esplosione dei problemi sanitari nei loro territori.
La conseguenza interna più immediata per gli Usa potrebbe derivare dall’impossibilità di accedere al database dell’Oms sui ceppi influenzali, il che potrebbe determinare un aumento del numero di americani ricoverati in ospedale e morti di infezioni influenzali. Attualmente negli Stati Uniti circa 30.000 anziani ad alto rischio di complicazioni muoiono ogni anno per questa patologia. Gli Stati Uniti perderebbero anche l’accesso al database globale per la sorveglianza delle malattie infettive, il che renderebbe il Paese più vulnerabile alle minacce microbiche da tutto il mondo. In questo momento sono proprio gli Usa a rappresentare il rischio maggiore per la sanità pubblica mondiale, con la diffusione dell’influenza aviaria a milioni di uccelli selvatici e d’allevamento, il salto di specie già effettuato nei confronti dei mammiferi, in particolare i bovini, e con i primi casi umani. Ma il ritiro avrebbe anche conseguenze che vanno oltre la salute. Gli Usa perderebbero il loro ruolo di leader nella politica sanitaria globale e della così detta “diplomazia sanitaria” troncando i legami con alcuni Paesi per loro importanti nell’assetto geopolitico mondiale.
Nel frattempo, la decisione determina un buco finanziario considerevole che potrebbe essere colmato solo da altri grandi Paesi, in primis la Cina, principale competitor sullo scenario globale. Inoltre, senza gli Stati Uniti l’Oms perderebbe i suoi stretti legami con i Cdc (Centers for disease control and prevention di Atlanta), una delle principali agenzie di sanità pubblica al mondo: centinaia di suoi ricercatori sono assegnati all’Oms e verranno probabilmente richiamati in patria, compromettendo lo scambio di informazioni nonché le politiche che promuovono la salute e prevengono le malattie.
Insomma, una decisione scellerata che renderà il mondo un posto ancora più pericoloso, per tutti.
Va detto, infine, che mentre alcuni sconsiderati propongono l’uscita anche per l’Italia (ma il ministro della Salute ha dichiarato ieri che «l’uscita dall’Oms non è contemplata dal programma di governo»), l’erratico presidente americano ha già detto che potrebbe ripensarci. Sarebbe una scelta saggia.
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