Cambiare verso anche alle politiche del lavoro, «cambiare strategia di gioco, dopo 5 anni di partite perse», guardando all’esperienza tedesca. Matteo Renzi ha indicato esplicitamente la Germania come modello per le politiche del lavoro, rigettando invece «la pretesa» tutta italiana, «di creare posti di lavoro attraverso una legislazione molto dura, articolata e restrittiva», che «è fallita».Ma qual è il modello tedesco a cui guarda il nostro premier? Se pensassimo alla Germania come la patria della deregolamentazione sbaglieremmo. Il diritto del lavoro tedesco non è molto meno "corposo" del nostro. Ma ha un carattere assai più pratico. E soprattutto le relazioni tra le parti sociali sono improntate al massimo del pragmatismo e al minimo dell’ideologismo, al contrario di quanto avviene in Italia. Dagli anni ’50, in Germania vige la
Mitbestimmung, il sistema di codeterminazione delle imprese, perfezionato poi nel 1976. È basato su un sistema duale di governo delle grandi aziende, con i Consigli esecutivi che amministrano e i Consigli di sorveglianza, nei quali si vagliano le decisioni strategiche. All’interno di questi ultimi, la metà dei componenti spetta ai rappresentanti dei lavoratori, mentre l’altra metà e il presidente del Consiglio sono espressione degli azionisti. Un sistema – assieme a quello che regola rigidamente, attraverso contratti e giurisprudenza, il diritto di sciopero – che ha garantito sviluppo e pace sociale. Punto di forza è anche il sistema scolastico, con gli istituti tecnici, l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato particolarmente diffusi. Col risultato che in Germania oggi il livello di disoccupazione giovanile è inferiore all’8% e non si discosta molto dal dato generale (5,1%), mentre da noi il tasso di ragazzi senza lavoro (42%) è oltre il triplo di quello generale (12,7%). Più nel concreto, si può immaginare che Renzi si riferisca anche ad alcune delle novità introdotte di recente in Germania: dal salario minimo – 8,5 euro l’ora – che scatterà dal 1° gennaio 2015, al sussidio di disoccupazione universale assicurato a tutti coloro che cercano attivamente un lavoro (i benefici calano se non si accettano le proposte d’impiego), riformato 10 anni fa con le "rivoluzionarie" leggi Hartz. Due temi che il nostro premier ha inserito esplicitamente nella legge delega di riforma del lavoro. E ancora, la (controversa) esperienza dei mini-jobs, con 8 milioni di disoccupati-lavoratori coinvolti part-time per 400 euro al mese (sommabili al "reddito di cittadinanza") e la riduzione dell’orario in chiave difensiva per le aziende in difficoltà. Ma forse, più di tutto, della Germania a Matteo Renzi in questo momento piace una regola: gli scioperi politici sono vietati.