martedì 27 marzo 2018
Sud, povertà, lotta al crimine: un «governo utile» per ripartire
Reddito garantito e sviluppo una base di possibile accordo
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Caro direttore,
trovo utile la linea di attenzione ai contenuti programmatici delle diverse proposte politiche e del Governo possibile che 'Avvenire' ha sviluppato prima e dopo il voto del 4 marzo. E qui proverò a delineare alcuni capisaldi di un programma di governo compatibile con l’attuale quadro politico sostanzialmente tripolare, che non assegna a nessuno schieramento una maggioranza parlamentare. Un programma che, a partire dal Sud, potrebbe rilanciare l’intero Paese.

REDDITO GARANTITO. Nel 1997 fu la cosiddetta Commissione Onofri, nominata dal Governo per studiare una riforma del welfare a spesa invariata, a proporre il minimo vitale, che fu però osteggiato perché per finanziarlo sarebbe stato necessario intervenire sulle pensioni. Invece, quello era proprio il momento giusto per una riforma del genere. Negli anni successivi, fino ad arrivare allo 'scalone' e poi alla legge Fornero, i tagli alle pensioni si fecero, anche perché costretti a farli, senza però avere il minimo vitale in contraccambio. In effetti un’integrazione al reddito significativa poi è stata introdotta. Sono gli 80 euro. Coloro che si trovano nella fascia di reddito che dà titolo ad accedervi non navigano certo nell’oro. Bisognerebbe però soccorrere prima di tutto quelli che stanno sotto la soglia minima. Alla fine della scorsa legislatura è stato, poi, istituito il Reddito di inclusione (Rei), che poi con la legge di bilancio 2018 è stato trasformato in una misura universalistica (cioè senza le precedenti restrizioni legate a caratteristiche familiari). Le risorse destinate sono state tuttavia insufficienti a coprire tutte le situazioni di povertà, e peraltro assai inferiori a quelle per gli 80 euro. Ciò va corretto. Bisogna, infatti, affrontare di petto il tema del reddito di cittadinanza per ricondurlo a diventare un’integrazione al reddito (quindi non a importo fisso), anzitutto destinata a chi è sotto la soglia di povertà, condizionata alla ricerca di lavoro e all’inserimento dei beneficiari in politiche attive, eventualmente temporanea (così non si crea una dipendenza dall’assistenza a vita). Oppure, se si reperissero le risorse, si potrebbe pensare a un piccolo importo fisso e a una parte variabile, che sarà tanto maggiore quanto più intensa è la condizione di povertà del beneficiario. E bisognerebbe richiamarsi a quell’occasione storica del minimo vitale che nel 1997 non si poté cogliere. Inoltre, una misura del genere va gestita in modo da evitare assolutamente lentezze, disparità tra un territorio e l’altro e qualunque sospetto di favoritismo. Ci vuole un’Agenzia indipendente nazionale, sul modello della Social Security Administration (che fu uno dei pilastri del New DealUsa), articolata in modo tale da interagire direttamente con i cittadini beneficiari. Si potrebbe opportunamente riconvertire l’Anpal (istituita nell’ambito del cosiddetto Jobs Act), per segnalare chiaramente la connessione con le politiche attive del lavoro. In questa chiave, sarebbe peraltro possibile attingere parte delle risorse, almeno all’inizio, al Fondo sociale europeo. Il Mezzogiorno riceverebbe molti dei benefici. Ciò assorbirebbe il Rei, potenziandolo e fornendo le risorse necessarie per renderlo quella conquista della politica sociale italiana che deve essere.

RITARDO DI SVILUPPO E CRESCITA INTELLIGENTE. Per promuovere in modo veloce ed efficace lo sviluppo al Sud, generando occupazione e Pil, occorre costituire un’Agenzia indipendente sul modello dell’Irlanda, Paese in cui l’Industrial Development Agency (Ida) è protagonista della politica industriale. A un’agenzia siffatta andrebbero attribuiti buona parte dei fondi europei e nazionali per lo sviluppo e la coesione, con il compito di canalizzarli verso la promozione delle attività di impresa e dell’occupazione, attraendo investimenti esterni. I consorzi che gestiscono le aree di sviluppo industriale al Sud hanno terreni a vocazione produttiva a dir poco sottoutilizzati. Ispirandosi al modello Ida, tali terreni dovrebbero essere gratuitamente ceduti o dati in gestione per 99 anni all’Agenzia di sviluppo, così che chi vorrà investire e creare un nuovo stabilimento potrà farlo in aree in cui l’Agenzia stessa avrà provveduto prima a sgombrare il campo da tutti gli ostacoli e gli oneri amministrativi, garantendo la possibilità di partire, 'chiavi in mano', in un paio di settimane, senza incertezze. L’Agenzia dovrebbe poter acquisire anche immobili situati in zone urbane, nei quali realizzare incubatori per start up che non richiedono grandi spazi e si collocano meglio in città. A tutto ciò potrebbero aggiungersi accordi con i sindacati che prevedano moderazione salariale in connessione con il minor costo della vita al Sud, ed eventualmente alcune esenzioni tributarie e contributive. In Italia nel 1999 si voleva creare appunto un’agenzia di tipo 'celtico', come quelle irlandese, scozzese o gallese. Furono infatti convocati per imparare dalla loro esperienza esponenti dell’agenzia gallese. Poi le cose presero un’altra piega, e si fece Sviluppo Italia, oggi Invitalia, che ha comunque come missione l’attrazione degli investimenti, e adesso gestisce la misura Resto al Sud. Inoltre, nel 2013 fu istituita l’Agenzia per la coesione territoriale (Act). Quindi, l’idea di un’agenzia di sviluppo è stata in realtà seguita anche da noi. Per avvicinarsi al modello celtico, tuttavia, occorrono competenze e risorse analoghe a quelle dell’Ida.

INFRASTRUTTURE. Per lo sviluppo del Mezzogiorno e del Paese sono necessarie alcune grandi infrastrutture strategiche (come l’alta velocità in campo ferroviario, il completamento della rete autostradale, alcuni porti e aeroporti da potenziare) di rilievo sovraregionale. Anche in questo campo occorrerebbe un’Agenzia sovraregionale, cui pure attribuire parte dei fondi europei e nazionali, come è stata proposta dalla Svimez alcuni anni fa.

POTERI CRIMINALI. Infine, è necessario uno sforzo ulteriore nel campo del contrasto ai poteri mafiosi e all’illegalità. Nella legislatura appena terminata s’è fatta la riforma del Codice antimafia, che comprende anche l’applicabilità delle misure di prevenzione alle cricche di corrotti. Occorre reprimere con nuovi atti normativi la condotta degli operatori economici contigui alle mafie (per quelli affiliati c’è già il 413 bis, che peraltro va integrato), i quali proprio grazie a tale contiguità prevalgono sui loro concorrenti. Occorre promuovere al massimo la ribellione contro il racket, prevedendo incentivi anche economici per chi denuncia, da ricavare dai proventi del crimine mafioso oggetto di sequestro o confisca. Tali novità troverebbero applicazione anche al Centro-Nord, ove le mafie sono pure presenti. Tutte le innovazioni suddette porterebbero in prima battuta benefici minori al Centro-Nord e maggiori al Mezzogiorno, com’è giusto, visto che è qui che si concentrano la povertà e il ritardo di sviluppo. Ma queste riforme dovrebbero essere tutte di livello nazionale, sicché varrebbero anche per il resto del Paese. Se nel Mezzogiorno decolla lo sviluppo è un bene per i meridionali, ma lo è anche per tutto il resto del Paese, che potrà beneficiare di maggiori introiti fiscali, di miglioramenti nei rapporti commerciali internazionali, e così via. Infine, tranne che per il reddito garantito, ove la questione delle risorse ovviamente è centrale, per i restanti interventi non sono necessari massicci flussi di spesa ulteriori rispetto a quelli già messi in bilancio, poiché si tratta di misure di per sé a costi molto bassi.

POSTILLA. Nel momento attuale, per costituire un Governo è necessario trovare un’intesa tra forze distinte e anche distanti. Credo che la pregiudiziale sia la condivisione di una linea che consenta all’Italia non solo di non mettersi in rotta di collisione con l’Unione Europea, ma anzi di giocare al suo interno il ruolo di co-protagonista che le compete. Le proposte delineate possono costituire una base per la convergenza. Nel caso italiano in vista della formazione di un esecutivo vanno trovati i temi e gli intenti da mettere in comune e valorizzare, delineando contestualmente percorsi di attuazione sostenibili, realistici, compatibili con i vincoli finanziari, il peso del debito pubblico, le regole della Ue. Se si cerca lealmente e si costruisce seriamente, l’intesa sui contenuti e quella successiva sulle formule forse non sarà così difficile da trovare. Forse – come si è suggerito da subito da queste colonne – con un 'governo utile'. L’Italia se lo meriterebbe. E persino l’inconsueta e difficile situazione presente potrebbe rivelarsi un’opportunità.

*Docente di Sociologia e di Valutazione delle politiche pubbliche.
Università Luiss Guido Carli

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