Caro direttore,
Eugenio Scalfari ha scritto nel suo editoriale della domenica di Pasqua che il Resurrexit proclamato dai cristiani riguarda tutti, perché ogni individuo, ogni popolo ha bisogno di risorgere, di trovare una speranza per il futuro. È un approccio che sorprende, segno a mio parere di qualcosa di nuovo che sta succedendo al fondatore di “Repubblica”, come a ridestare il suo cuore e ad aprirlo ad una prospettiva che lui aveva sempre rifiutato e che continua a negare anche se la considera, ne parla, vi si paragona. Sono colpito da questo, perché mostra come dentro lo scorrere del tempo possa cambiare la direzione dello sguardo e non in forza di una nuova idea o di un progetto migliore, semplicemente perché si accetta la sfida del reale. I muri non cadono perché li si vuole far cadere, ma semplicemente perché li sbriciola la realtà.
Gianni Mereghetti, Abbiategrasso
È vero, caro professor Mereghetti, può succedere che i “muri” dell’incomprensione su ciò che è essenziale cadano. E succede. Quando succede, c’è solo da prenderne atto con rispetto, senza forzare alcuna ulteriore interpretazione. Eugenio Scafari, rifacendosi a Papa Francesco, ha scritto che gli «aspetti morali» del Resurrexit cristiano annunciato a questo nostro tempo «di crisi profonda» e capaci di toccare tutti sono riassumibili nell’«ama il prossimo tuo più di te stesso». Non solo «come te stesso», ma addirittura «più». Questo tempo, con i crinali decisivi e le molteplici vertigini di potere che propone, chiede in effetti a tutti noi – credenti e non credenti – un di più di comprensione dei fatti e delle conseguenze delle “conquiste” che realizziamo, un supplemento di disinteresse personale, di lucidità di giudizio e di lungimiranza. E quella frase condensa un programma facile da intendere, ma non così facile da attuare: chiede con attualissima urgenza un vero e proprio capovolgimento di prospettiva e di direzione (la parola giusta, antica e molto francescana è metànoia). Chiede di rivoluzionarsi e di rivoluzionare le certezze – e qui cito, io, Papa Francesco – persino idolatriche del «pensiero dominante». Chiede cioè di portarsi lontano dalla tentazione e dalle pratiche dell’autoreferenzialità assoluta, dell’egoismo libertino, dell’individualismo esasperato, dello sfruttamento e della strumentalizzazione dell’altro/altra, della mercificazione dell’umano, dello scarto e dell’indifferenza... Chiede di cercare risposte alle attese reali e ai giusti diritti degli uomini e delle donne di questo tempo, risposte non evasive e non corrive, perché è necessario che abbiano una carica di verità – cioè d’amore – tale da rispettare ognuno e da non mettere alcuno al di sopra dell’altro (figlio, operaio, suddito, povero, vecchio, amato…) riducendolo in qualunque modo a oggetto di asseriti diritti e di un puro amore di sé del più forte e del più potente.
Colpisce anche me, caro amico, che il fondatore di “Repubblica” sia arrivato a fare dell’«ama il prossimo tuo più di te stesso» l’esplicito incipit di una pubblica riflessione. E sono sicuro che Scalfari si renda perfettamente conto della forza esigente di una simile frase che solo i superficiali potrebbero considerare generica e buonista. Sulla base di un amore che non annulla ma supera la dimensione dell’«io» e che perciò accetta la primazìa del «noi» si costruisce, infatti, un ben preciso sguardo sull’uomo e sulle sue possibilità, un tutt’altro modo di intendere e vivere il progresso, l’uso della libertà, l’esercizio della responsabilità, l’esperienza dell’amore. Si mette la realtà delle relazioni che ci fanno persone in primo piano. Quel che ne consegue – come il Papa non cessa di ricordare, e prima di tutto ai cristiani – è una serie di scelte, impegnativa e controcorrente rispetto allo «spirito del mondo». Al quale non c’è da portare guerra, ma cambiamento. E ogni cambiamento succede – quando succede, e succede – a partire dalle nostre vite, dai nostri pensieri e dalle nostre azioni. Chi conosce il Dio di Gesù Cristo sa che il cambiamento è illuminato e accompagnato da un amore ancora più grande.