Individualismo sfrenato, disprezzo delle regole, follia d’estate. Eppure, a ben guardare, anche insopprimibile bisogno di stare insieme. Per cantare, ballare, bere, drogarsi. Certo, c’è chi su questi incontri studiati a tavolino ci sguazza e ci guadagna soldi e vanità, ma anche chi – ed è la maggioranza – corre, attratta dal solo desiderio di strafare.
Attendiamo di sapere come sia potuto accadere che migliaia di giovani abbiano invaso, illegalmente, un territorio (nel Viterbese ndr) senza essere bloccati. Ma non è su questo che vogliamo fermare la nostra attenzione. Di certo, nel loro delirio di onnipotenza, questi giovani provenienti da tutta l’Europa, hanno creduto di sfidare lo Stato, le forze dell’ordine, il buon senso e la bontà dei sindaci e dei proprietari dei terreni occupati abusivamente. Come i vandali sono entrati in casa altrui, senza chiedere il permesso, senza il minimo rispetto per ciò che non era loro.
Possiamo dirlo? Sono stati dei vigliacchi. Sapevano bene che l’Italia è un Paese democratico e civile; che le nostre forze dell’ordine non fanno uso della violenza a cuor leggero. Come bambini capricciosi, hanno approfittato della comprensione degli adulti, hanno alzato la voce, mostrato i muscoli tatuati. Credevano forse di farci paura? Chissà.
Abbiamo riflettuto sul loro desiderio di compagnia, sul bisogno di appartenenza che li ha accomunati. Ci siamo soffermati – come siamo soliti fare – per tentare di capire che cosa accogliere del loro modo di agire. No, non è il loro egoismo, che pur tracima, a farci paura. Contro di esso dobbiamo lottare tutti.
Non l’egoismo, dunque, ma l’incapacità di coniugarlo con il bisogno di fare ed essere comunità. Il mio e il nostro sono le due gambe su cui cammina l’umanità. I giovani del Rave party del Viterbese ce lo hanno mostrato: l’altro è indispensabile. Non è vero, allora, che è l’inferno. Vero, ma non è ancora nemmeno il paradiso. Può diventarlo, certo, ma occorre fare attenzione, avere rispetto, mettersi in ascolto.
In questi giorni di euforia, ragazzi, uno di voi è morto, annegato nel lago. Sappiamo che si chiamava Gianluca e aveva 24 anni. Quali sogni accarezzava? da quali incubi fuggiva? Il nostro pensiero va ai suoi genitori, a chi gli voleva bene, agli amici, ai parenti. Come sarebbe bello se potessimo dialogare con lui, farci raccontare le sue fantasie, le motivazioni che lo avevano spinto a unirsi a voi. Purtroppo non sarà possibile.
Un trafiletto sui giornali e via. La vita continua. Certo, ma non per lui. Qualcuno si sente in debito nei confronti di Gianluca e della sua famiglia? Chi ha organizzato questo scellerato evento, fregandosene della sicurezza, dell’igiene, delle leggi, sente, in coscienza, di avere delle responsabilità verso di lui?
No, ragazzi, state sereni, questo non vuole essere il predicozzo di un prete di periferia incapace di comprendere i giovani di oggi. Al contrario, è il desiderio di non dovere più accompagnare al cimitero altri giovani adesso, e rimanere dolorosamente accanto a chi gli vollero bene, dopo.
Viene il magone al pensiero che nei giorni in cui voi sfidavate l’Italia e le sue leggi, in Afghanistan, migliaia di persone, in preda al terrore, fuggivano disperate per tutelare la loro libertà; e altre, ad Haiti, prigioniere delle macerie e dell’acqua, tentavano di strappare con le unghie un po’ di vita ancora.
Questa gente, oppressa e disperata ha bisogno anche di voi, ragazzi. Ma per correre in loro aiuto bisogna essere innamorati della libertà propria e di quella altrui; lottare per i diritti di tutti, accettare di camminare insieme. Prima di riprendere ognuno la propria strada, vi prego, voltatevi indietro e guardate. Purtroppo – vorrei tanto scrivere il contrario - il vostro egoismo e la vostra immaturità hanno lasciato solo sporcizia, distruzione, morte.
Da giovani forti, desiderosi di divertirsi, in un Paese come il nostro, in tempo di pace, ci saremmo aspettato ben altro. Ma non ci arrendiamo. Possiamo sperare di realizzare qualcosa di bello insieme in futuro? Nella vita si può sbagliare e si sbaglia. La cosa importante, però, è riconoscere l’errore, chiedere scusa, riparare i danni, accettare la punizione inflitta e riprendere il cammino nella giusta diezione. Chi guida contromano procura solo sofferenza e danni. A se stesso e agli altri.