sabato 15 marzo 2014
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Caro direttore,
ho letto la sua risposta del 12 marzo sulle quote rosa in Parlamento; francamente la trovo molto pericolosa: fino a quando ciò che sembra utile per cambiare costume nel senso che piace a noi può violare il diritto? Così ogni tipo di richiesta che sembra utile al cambiamento può essere avanzata, anche le più contraddittorie. Forse che Hitler e Mussolini non hanno cambiato la storia? Certo che l’hanno cambiata, ma in modo tragico. Vediamo le cose da un punto di vista maschile: gli uomini muoiono prima delle donne, ma vanno in pensione dopo; anche con la riforma Fornero le donne hanno un anno di vantaggio sugli uomini e parità di trattamento, ma con sei anni di attesa di vita in più, faccia lei i conti di quanto “rubano” agli uomini. Sono favorite scandalosamente nelle separazioni e nei divorzi; circa l’80% delle denunce per violenza e pedofilia risultano false, ma servono per ricattare i mariti e prendersi tutto; il giudice zittisce ogni rimostranza maschile, nessuna donna è stata condannata per calunnia. Dov’è la parità? Non abbiamo 8 marzo e giornali maschili che ci ascoltino e ci rappresentino… E la lista potrebbe continuare a lungo. Dov’è la parità e la pari opportunità se gli uomini non possono rappresentarsi? Se introduciamo la parità per legge in Parlamento, allora dobbiamo introdurla anche a scuola e in tutto l’impiego pubblico. La parità nelle liste andrebbe bene solo se si ritorna alle preferenze, decida l’elettore e vinca il migliore.
Giacomo Lombardi, Bari
 
Un’idea «molto pericolosa»… boom! Mi perdoni, caro signor Lombardi, ma non capisco e non accetto la sua iperbole allarmistica. Che c’entrano Hitler e Mussolini con il rispetto, e un giusto spazio pubblico, della donna? Sfido a dimostrare che nelle «quote rosa» – che comunque ho chiaramente scritto di considerare uno strumento temporaneo, per sbloccare una situazione e avviare un necessario cambiamento – ci sia qualcosa che viola il diritto o un qualche maschile “diritto”. Pericolosi e ingiusti non solo per le donne continuano, piuttosto, a essere una società e un mondo dove ci sono persone frenate, svantaggiate, sfruttate e sottorappresentate nella sfera pubblica per il solo fatto di essere di sesso femminile e, dunque, potenziali madri. Lo dico da uomo e da padre, consapevole che non tutto è rosa nel cosiddetto “pianeta rosa”, ma altrettanto conscio del fatto che noi appartenenti al (presunto) “sesso forte” non possiamo proprio metterci a fare le vittime. Qualche volta lo siamo, è vero. Ma bisogna stare attenti alla realtà, in tutti i suoi aspetti. Lei infila, anche con abilità dialettica, argomenti da pianto greco maschile. Ma il prezioso e troppe volte obbligato “doppio lavoro” di tante donne (quello fuori casa e quello “di cura”, in casa) perché non andrebbe pesato come merita? Trovo singolare, poi, l’idea che le relazioni uomo-donna siano riducibili a una partita a “guardie e ladri”, dove le guardie saremmo noi e i ladri loro, le donne. Suvvia... Ancora: aumentano, certo, i padri separati travolti anche economicamente dal fallimento (del quale non sempre sono primi responsabili, anzi in diversi casi non lo sono affatto) della loro vita matrimoniale e familiare (poco più del 15% del totale), ma sono assai meno delle donne-madri ridotte in miseria dall’abbandono dell’uomo di casa (il 24%). Che cosa si dovrebbe concludere? Che il bilancio sarebbe equilibrato se tutto il disagio delle rotture familiari fosse ancora, com’è stato per troppo tempo, sulle spalle delle sole donne? Il vero e sottovalutato problema è quella fabbrica di povertà (di relazioni forti e di risorse) che sono le crisi matrimoniali. Voglio dire che non sono gli occhi e i ragionamenti da lei proposti che possono aiutarci a uscire dal guado e da una contrapposizione penosa e sterile. Non sono certi amari sentimenti e risentimenti (per quanto a volte comprensibili) che possono evitare la dissipazione di quel patrimonio di feconda collaborazione uomo-donna che regge, continua e fa davvero umana la famiglia e ogni comunità civile. Nel mondo degli uomini e delle donne – dove non mi stanco di ripetere che la vita e il futuro sono possibili in forza della «uguale altezza» e dell’essenziale «diverso ruolo» degli uni e delle altre – la differenza è un valore tanto quanto la pari opportunità nello studio, nel corrispondere alla propria vocazione umana e professionale, nel contribuire all’indirizzo della vita comune. Quanto al «decida l’elettore e vinca il migliore», gentile amico lettore, siamo perfettamente d’accordo. Ci restituiscano la preferenza, e potremo ricominciare a fare la nostra parte come si deve. Ma non capisco perché solo in quel caso le liste “paritarie” (cioè, oggi, in Italia, con «quote rosa») sarebbero accettabili. Penso, ho scritto e ripeto che sia vero il contrario. È proprio nelle situazioni “bloccate” per calcolo e per inerzia (e davanti a liste di questa natura) che bisogna decidersi a rompere gli schemi e ad aprire di più le porte della partecipazione e della partecipazione paritaria.
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