Ci sono volute più di tre settimane, ma alla fine l’atteso Dpcm sull’accoglienza dei profughi ucraini è uscito, seguito il giorno dopo da un’ordinanza della Protezione civile che precisa le modalità mediante le quali verranno protetti i rifugiati giunti in Italia, che stanno viaggiando verso le 100mila persone: la cifra prevista dal governo in questi documenti.
L’Italia recepisce la direttiva dell’Unione Europea di inizio marzo, concedendo una protezione di un anno rinnovabile, l’immediato accesso all’assistenza sanitaria e al sistema educativo, la possibilità di cercare un impiego regolare. Ma non solo. L’articolo 1 dell’ordinanza della Protezione civile è intitolato 'Accoglienza diffusa'.
Riconosce l’esigenza di integrare l’offerta pubblica di servizi di ospitalità rivolgendosi agli Enti del Terzo settore, ai Centri di servizi per il volontariato, alle Associazioni registrate, agli Enti religiosi civilmente riconosciuti. Potranno così aumentare i posti disponibili, a condizione di garantire un trattamento alle persone accolte paragonabile a quello statale e di prevedere un pieno coinvolgimento dei Comuni mediante la sottoscrizione di accordi di partenariato.
Si profila finalmente una strategia di accoglienza condivisa, che chiama a collaborare enti locali, servizi pubblici, forze organizzate della società civile, datori di lavoro. Entra in gioco poi un’altra significativa innovazione: i rifugiati potranno cercare sistemazioni autonome, nel mercato dell’affitto o presso famiglie locali, ricevendo direttamente un contributo di 300 euro al mese per ogni adulto e di 150 euro per i minori, per un periodo di tre mesi.
Per la prima volta si riconosce autonomia e responsabilità ai rifugiati, trattandoli da adulti capaci di badare a se stessi. Nello stesso tempo si presuppone che si attivi un’offerta privata di abitazioni disponibili, non solo da parte di famiglie solidali, ma anche di normali proprietari immobiliari. Il governo esprime fiducia, sia verso i rifugiati sia verso il mercato abitativo: un ambito che nella vicenda ormai più che trentennale dell’immigrazione in Italia, e ancor più nel caso dei rifugiati arrivati nell’ultimo decennio, si è mostrato uno degli ostacoli più seri sulla strada dell’integrazione. Il 'caso ucraino' sta cambiando i parametri culturali con cui si era soliti considerare i nuovi arrivati e la nostra capacità di accoglierli.
In questo scenario positivo, alcuni problemi rimangono. L’accoglienza è garantita ai cittadini ucraini, ma non altrettanto ai soggiornanti stranieri in Ucraina: per questi ultimi, vale soltanto in caso di possesso di un permesso di soggiorno permanente o di uno status di rifugiati, con l’aggiunta dell’impossibilità di tornare in condizioni sicure e stabili nel Paese di origine. Ossia non si salva quasi nessuno. Esclusi per esempio gli studenti, i lavoratori con contratti a tempo determinato, i richiedenti asilo di altri Paesi che si sono trovati coinvolti nella guerra.
Per tutte queste persone scappate dall’Ucraina valgono le normali regole della protezione internazionale, ossia la lunga e incerta trafila della domanda d’asilo. Già si paventa una sorta di selezione etnica. Sul tema i paesi della Ue si sono divisi, e non sono soltanto i nazional- sovranisti del gruppo di Visegrad a discriminare tra i fuggiaschi.
Dispiace che l’Italia si si sia accodata al partito dell’accoglienza differenziata. La gestione dell’emergenza ucraina rimane in bilico, tra una concezione ristretta che ne fa un caso eccezionale e una concezione allargata che lo vede come il modello a cui puntare anche per quanti fuggono da altre guerre e bussano alle nostre porte.