Gentile direttore,
lo so che ciò che sto per proporre per fronteggiare il dramma dell’accoglienza degli immigrati non è una ricetta originale, ma tanto vale ribadirla, affinché a una sensibilità sempre più diffusa di noi italiani faccia seguito anche il coraggio dell’azione. Questi nostri fratelli disperati che approdano in Italia possono essere accolti degnamente in piccoli nuclei, da cinque a dieci persone, presso ogni parrocchia del nostro Paese, tanto per rispondere alla chiamata del Papa, che è la chiamata di Cristo! Oltre alle parrocchie ci sono anche associazioni laiche e singole famiglie disponibili a dare accoglienza a questi nostri fratelli, sempre in piccoli nuclei. Ma l’ostacolo a quest’opera di carità è solo l’ottusità della legge, che vuole gli immigrati in centri sovraffollati.
Alfonso Piccirillo - Pietramontecorvino (FG)
Gentile direttore,
a proposito dell’invasione di profughi e immigrati dall’Africa forse era meglio costruire un grande centro di accoglienza, gestito dall’Onu e dalla Ue, in qualche area del Paese, invece di "distribuire" gli stranieri in tante città creando seri problemi ai Sindaci che fanno già fatica ad amministrare la loro città in un momento di grave crisi economica e occupazionale. Visto che l’invasione non si arresta, era meglio realizzare un grande centro di accoglienza nazionale ben attrezzato e controllato, in modo da evitare che tante persone diventino degli "sbandati" che non sanno cosa fare e dove andare.
Marino B.
Torino
Caro direttore, desidero ringraziarla per la sensibilità e la profondità con cui Avvenire continua ad affrontare le problematiche delle varie categorie di persone in condizione di maggiore debolezza e povertà, voglio riferirmi oggi in particolare agli esuli e ai rifugiati. Mi risuonano dentro le parole con cui Papa Francesco ci ha invitato a meditare sul fatto che anche Gesù è stato «un rifugiato». Io poi, per storia familiare, sono particolarmente sensibile al problema degli esodi e delle terribili situazioni che ne sono causa. Lo scorso 20 giugno si è celebrata la Giornata mondiale del rifugiato e Avvenire – faccio i complimenti al giornalista Paolo Lambruschi – ha dato conto in modo molto valido di tutta la problematica, con particolare attenzione ai più deboli tra i deboli, i minori di età. Nei giorni seguenti le cronache si sono giustamente intensificate sull’onda degli avvenimenti. Il suo giornale ha anche scritto più volte, suscitando molte lettere dei lettori, della strage di Vergarolla (Pola) evento che, andando indietro di quasi 70 anni, è chiaramente catalogabile in quelle terribili situazioni che sono causa degli esodi della gente dalla propria terra. E anche qui voglio complimentarmi con la giornalista Lucia Bellaspiga per la rievocazione storica e per i servizi di cronaca che ha curato. L’insieme di articoli che ho appena citato e gli avvenimenti di questi ultimi giorni mi hanno fatto pensare. Da sempre esistono fiumi copiosi di persone costrette all’esodo dalla propria terra. Anche oggi è così, e noi ci sentiamo interpellati nel profondo della coscienza su quale accoglienza debba essere riservata loro. Tutti, se appena lo vogliono possono conoscere le situazioni terribili che costringono le persone a fuggire da Siria, Eritrea, Sud Sudan. Libia... Non tutti invece conoscono altrettanto bene – perché per troppo tempo non si è voluto che le conoscessimo – le situazioni terribili che quasi 70 anni fa hanno causato l’esodo giuliano, fiumano e dalmata di 350mila italiani. Penso agli infoibamenti e ad altre violenze inaudite da parte dei partigiani comunisti di Tito, le stragi con mandante la polizia segreta jugoslava dell’Ozna come appunto quella di Vergarolla, nella zona di Pola... Ritengo che oggi lo Stato italiano, si stia comportando molto bene con l’operazione "Mare Nostrum" e che si dovrà necessariamente arrivare a scuotere questa sorda e grassa Europa per una sua maggiore assunzione di responsabilità. Ma noi, come italiani, gente di animo buono, che atteggiamento abbiamo per l’accoglienza degli esuli? Siamo capaci di affrancarci dai condizionamenti di carattere culturale e ideologico? Questo sarebbe stato necessario ai tempi dell’esodo dalle terre occupate per volere di Tito quando gli esuli potevano dire, come recita il titolo di un bellissimo libro di Jan Bernas, "Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani". Questo è necessario oggi laddove le difficoltà ad accettare gli esuli, che sbarcano in Sicilia per poi risalire la Penisola, sono prodotte da una situazione socio-economica assimilabile a quella di egoistico benessere che caratterizza altri Paesi europei. Vedo, insomma, similitudini e differenze che mi fanno molto riflettere. Settant’anni fa, c’erano italiani che venivano nell’Italia libera per salvaguardare la loro italianità e la loro libertà. Oggi quelli che vengono in Italia da profughi sono africani, siriani e altri medio orientali che poco o nulla hanno a che vedere con l’Italia, spesso solo ponte di passaggio per altri destini. Eppure tutti sono esuli perseguitati, con il sacrosanto diritto a essere accolti come persone, come fratelli in umanità.
Antonio Incani Roma
Le prime due lettere affrontano in maniera opposta la questione dell’immigrazione dei disperati che arrivano in Italia via mare. Persone – non perdo occasione per ricordarlo a chi, come il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, a differenza di alcuni suoi compagni di partito, si rifiuta di guardarle in faccia per amor di polemica che inclina alla xenofobia – che all’80% provengono da Siria ed Eritrea, e sono dunque a pieno titolo profughi da tutelare e accogliere, secondo le regole internazionali che il nostro Paese ha civilmente fatto sue. Certo, quando il partito di Salvini era al governo l’Italia, violando queste regole, ha proceduto per mesi e mesi a feroci respingimenti ciechi in mare aperto, finendo per buttare tra le braccia dei trafficanti di esseri (e di organi) umani prima in Libia e poi nel Sinai egiziano – come le inchieste del nostro collega Paolo Lambruschi hanno documentato – centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini. Erano quasi tutti eritrei. E un’altra cosa che non mi stanco di ricordare ai senza memoria è che verso questo popolo d’Africa noi italiani, ex potenza coloniale in quella terra, abbiamo debiti morali e motivi di gratitudine che mai dovrebbero essere rimossi. Ma il tempo dei respingimenti illegali e ciechi e delle stragi silenziose è ormai archiviato. È finito il tempo dei drammi in mare aperto, raramente illuminati dai riflettori dei soccorritori e dei media e dalla giusta pietà dell’opinione pubblica italiana e internazionale. Dobbiamo lavorare perché non torni più e possiamo farlo, grazie a Dio, per la sostanziale cancellazione dell’indegno reato di clandestinità una buona volta decisa dal nostro Parlamento, grazie all’operazione "Mare Nostrum" varata dal governo Letta dopo l’ultima, immane tragedia nelle acque di Lampedusa il 3 ottobre 2013.
Tutti però – anche i benintenzionati, come il signor Marino, e persino i malintenzionati, come qualche politico – dovrebbero smetterla di parlare di «invasione» e di scegliere termini di paragone terroristici quando si discute degli «sbarchi» in corso. È vero le persone arrivate sono tante, più o meno 70mila. Ma basta ragionare appena un po’ per rendersi conto che si tratta dello 0,0011 della popolazione italiana. E basta volersi informare per sapere che ben più della metà di questi profughi è già altrove. Dove? Quasi sempre nei Paesi dove sono già residenti familiari scappati prima di loro dalla guerra e dalla persecuzione di regimi dittatoriali e di terroristi senza scrupoli. E questo avviene perché è giusto e normale che avvenga, anche se regole europee stupide vorrebbero ancora inchiodare un rifugiato alla precarietà nel luogo di prima accoglienza. Per questo è importante che la Ue cambi la sua politica non solo nella gestione della frontiera marittima mediterranea, ponendo fine alla generosa solitudine dell’Italia, ma aiuti – rivedendo le regole di cui ho appena detto – a organizzare un’accoglienza degna di questo nome. Il signor Piccirillo indica uno strumento intelligente: quello della micro-accoglienza. L’Italia lo ha già sperimentato con successo e l’esempio, come tanti ricorderanno, è venuto proprio dalla Chiesa italiana, attraverso la Caritas e la rete delle parrocchie. Altro che megacampi di raccolta… L’ultima notazione la dedico all’autore dell’ultima lettera, il signor Incani. Ed è un grazie per come ha saputo legare nel suo ragionamento, senza confusioni e andando al sodo, il dramma degli esuli italiani dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia che chiesero asilo alla Madrepatria a quello dei richiedenti asilo che oggi, come tante altre volte nella millenaria vicenda di questo nostro Paese, arrivano tra noi da oltremare. Chi, come lui, ha sperimentato e ha memoria della persecuzione e dell’ingiustizia, aiuta tutti noi a rammentare il fondamento del «sacrosanto diritto di essere accolti».
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