Egregio direttore,
la sua risposta alla lettera degli ambasciatori ungherese e polacco presso la Santa Sede del 25 novembre 2020 ci suscita domande e considerazioni. La politica dell’attuale Unione Europea induce gli Stati ad adottare normative pro aborto, matrimoni e adozioni omosex, propaganda anche in testi e curricula scolastici (fin dalle elementari come “contrasto agli stereotipi di genere”) dell’ideologia gender – definita da papa Francesco «errore della mente umana», «bomba atomica » – e finanziamento delle realtà lgbt che la sostengono. Ma la normativa della Ue prevede che in alcuni ambiti ogni Stato sia sovrano e quindi pensiamo non le competa entrare nel merito, ad esempio, del fatto che Ungheria e Polonia adottino legislazioni favorevoli alla difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, alla famiglia naturale, alla libertà educativa. Dunque desta forti perplessità vedere che la Ue utilizza la leva finanziaria, in materie non di propria competenza, per forzare gli Stati, subordinando gli aiuti economici del Fondo europeo per la ripresa all’accettazione di un concetto di “Stato di diritto” con impostazioni valoriali antitetiche a quelle delle legislazioni nazionali; tanto più nell’attuale situazione in cui l’emergenza li rende più deboli e potenzialmente inclini ad accettare per necessità ciò in cui non si riconoscono. Nel merito, ci risulta incomprensibile e non condivisibile il fatto, ad esempio, che la politica nazionale verso le istanze di alcune persone lgbt sia valutata come criterio a cui collegare l’erogazione dei finanziamenti del Fondo finalizzato all’emergenza sanitaria di tutti: ci appare ingiustamente discriminatorio ai danni anzitutto delle persone malate e delle loro famiglie. Ci chiediamo se non meritino invece attenzione le ragioni di Stati come l’Ungheria e la Polonia che, a nostro avviso coraggiosamente, pur nella necessità di sostegni economici, sollevano temi come i contenuti dello “Stato di diritto” e il rapporto tra la Ue e gli Stati, cruciali per la ricostruzione di una Ue che torni fedele alle sue radici ideali di solidarietà, bene comune e libertà. Non ostile, ma alleata di popoli e Stati che, tanto più in momenti critici come quelli attuali, possa riconoscersi “unita nella diversità”, come recita il suo bel motto.
Laura Mauri Vigevani, Tessa Gnesi, Alessandro Bartoli, Laura Bianchi, Gianfranco Bordonaro, Paolo Panucci, Elisabetta Samek Lodovici (e altri)
Signor direttore,
spero che i vescovi non tacciano! Credo che le chiese siano i luoghi in assoluto più sicuri e dove si osservano più scrupolosamente le regole anti-Covid. La stupida Europa massona se ne guarda bene dal vietare i veri assembramenti e vuol vietare le Messe di Natale. La Chiesa cattolica, ma anche tutte le altre Chiese, devono far sentire la loro voce per impedire un pericoloso precedente che ricorda anni bui della storia ma anche situazioni buie del presente.
Ruggero Erba
Gentile direttore,
prendo atto con dolore che la questione “aborto” non è più tale per la Chiesa cattolica o, almeno, per la stampa di ispirazione cattolica. Lo comprova il fatto che “Avvenire” ha tratteggiato la figura di Joe Biden, neoeletto presidente degli Stati Uniti d’America senza neanche sfiorare il fatto che si tratti di persona favorevole all’aborto fino al nono mese e al “gender”, come diritti reali che lo Stato deve proteggere. A conferma di questa linea anche il settimanale della mia diocesi ha proposto un articolo nel quale tale aspetto del pensiero di Biden su aborto, gender e omosessualità non viene minimamente sfiorato. Dove si sono nascosti i princìpi non negoziabili?
Lettera firmata
Da giornalista, da cittadino e da credente rimango sempre colpito dalle dimostrazioni di forza della disinformazione, totale o anche solo parziale. E mi dispiace davvero quando vedo che a causa di queste operazioni, divenute assai più facili e frequenti nella nostra epoca digitale, crescono preoccupazioni, turbamento e persino rabbia in persone anche attente e ben intenzionate. Che magari leggono pure questo giornale, ma sono così colpite da altre narrazioni (e, spesso, deformazioni) della realtà e magari pure del nostro lavoro da ritenere che il fatto che sulle pagine di “Avvenire” non trovino spazio manipolazioni di fatti, parole e situazioni sia frutto non dell’esercizio responsabile del nostro mestiere, ma di distrazione, sottovalutazione, condiscendenza o addirittura condivisione di scelte preoccupanti o presunte tali. Non siamo perfetti, ovvio, ma abbiamo idee chiare, siamo coscienziosi nel nostro mestiere e diamo il giusto peso a parole e gesti. Anche perché la realtà della politica e delle dinamiche sociali, nel bene e nel male, basta e avanza così com’è. Per ragionare brevemente ma seriamente su questo ho messo insieme tre lettere diverse tra di loro per struttura e argomentazione, ma accomunate dal fatto di essere “nate” tutte nello stesso clima disorientante di cui ho appena scritto. Il clima delle mezze verità che possono diventare bugie tutte intere. Ma adiamo per ordine. Nella prima lettera un gruppo di stimabili signore e signori riprendono il filo della mio rapido dialogo con una lettera di due diplomatici, rappresentanti di Polonia e Ungheria presso la Santa Sede, a proposito del duro contenzioso aperto da quei due Paesi con gli altri venticinque membri dell’Unione Europa che ha portato al blocco di ogni deliberazione sul Piano di ricostruzione post-Covid e dello stesso Bilancio europeo. Il motivo di tale scontro è una clausola che chiede agli Stati membri il rispetto dello “Stato di diritto”. Questa locuzione – e la fondamentale sostanza giuridico-sociale che richiama – viene sorprendentemente proposta come sinonimo (entro i confini della Ue, ma forse non solo) di legislazione abortista e di “ideologia gender”. Queste ferite esistono, ma quell’operazione di identificazione tra esse e lo “Stato di diritto”, fino al racconto di sanzioni economiche a chi «non rinuncia a valori» preziosi (difesa della vita, sostegno alla famiglia cosiddetta tradizionale) è arbitraria e rischiosa. Vedo che su certi media e con altri strumenti di comunicazione e pressione si sta facendo di tutto per accreditarla. Ma pur nella mia poca scienza giuridica, so che quando si parla di “Stato di diritto” si parla di limite al potere dello Stato per difendere lo spazio (fatto di diritti e doveri) del cittadino, degli enti intermedi e della libera informazione, so che si parla di certa e sana «separazione dei poteri» (esecutivo, legislativo e giudiziario). Si parla insomma di princìpi fondanti le democrazie liberali come la nostra e come quelle che hanno dato vita alla Ue. Ecco il punto, come ho ricordato nella mia risposta ai due ambasciatori. E in questo caso non è affatto una qualche legislazione di merito (aborto o altro cruciale tema), che ovviamente è e deve restare oggetto del libero dibattito in ogni Paese e nelle sedi comunitarie. Non si possono e non si devono confondere i due piani, sino ad arrivare – magari in cambio di garanzie (o anche solo in nome di un limitato idem sentire) su una o più questioni-bandiera – alle picconate o allo svuotamento «illiberale» della democrazia. Siamo all’inizio degli anni Venti di questo secolo, una condizione che dovrebbe aiutarci a ricordare che cosa di tremendo accadde cent’anni fa esatti quando in troppi furono cedevoli e persuasi con i sovranisti dell’epoca che presto si fecero sovrani assoluti. Churchill sentenziò: «Dicono che la democrazia sia la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate sinora». La penso come lui, e sono convinto che la pensi così la grande maggioranza dei cittadini dell’Italia e della Ue. Comunque, per quanto mi riguarda, non accetterei mai un regime autoritario nero o rosso o di qualsiasi altro colore in cambio di scelte politiche pro-life o per posti di lavoro garantiti. E questo perché la difesa della vita e della sua dignità non si fa solo prima della nascita. E perché non si può accettare di essere stipendiati per essere sudditi. La seconda lettera, quella del signor Erba, è la prova di come si possa essere fuorviati dai titoli di (altri) giornali. La Commissione Ue intende richiamare il dovere di «evitare assembramenti» anche durante le Messe di Natale. Un dispaccio d’agenzia lunedì sera aveva fatto capire altro, e cioè evitare tout court le Messe, ma era sbagliato ed è stato prontamente corretto. Meno male, almeno per ora. Per qualcuno però, se questo è funzionale alla polemica anti-europea che intende condurre aogni costo, la prima impressione (o la prima agenzia) è quella che conta. E chi legge è stato servito, davvero malissimo. Perciò al signor Erba dico che la Chiesa italiana – il Consiglio Permanente della Cei lo ha confermato proprio ieri – chiede, al pari di tutte le altre Chiese sorelle, a sacerdoti e fedeli di rispettare scrupolosamente le regole dettate dall’emergenza sanitaria e di vivere in pienezza, pur nella difficoltà, il Natale. Nessun silenzio dunque, tutt’altro. Semplicemente nessun commento a sproposito. La terza lettera, infine, di un lettore che stimo troppo per pubblicare il suo nome, subisce una bufala fatta circolare ripetutamente in campagna elettorale e dopo la vittoria del cattolico pro-choiceJoe Biden nella corsa alla Casa Bianca con il pro-life protestante Donald Trump. E cioè che Biden sarebbe «favorevole all’aborto sino al nono mese», cioè praticamente all’infanticidio. Non è così e Biden ha dichiarato il suo no a questa pratica in diverse occasioni (cito solo l’intervista durante la trasmissione “Meet the Press” della Nbc). Come ho già detto , la realtà basta e avanza. E l’abbiamo richiamata nelle nostre cronache tutte le volte che è stato necessario e opportuno. Biden si è sempre dichiarato personalmente contrario all’aborto, pur rendendo via via meno forte la sua opposizione politica a questa pratica, ma in questa campagna elettorale è arrivato ad annunciare che se l’attuale Corte Suprema dovesse ribaltare il precedente stabilito dalla sentenza “Roe v.Wade” (che permette l’aborto sino alla 24ª settimana) sosterrebbe una legge federale sull’aborto e i relativi finanziamenti. Un annuncio che spiega il motivo per cui la Chiesa Usa, per bocca del presidente della Conferenza episcopale José H. Gomez, nel riconoscere che Biden «si unisce al defunto presidente John F. Kennedy come secondo presidente degli Stati Uniti a professare la fede cattolica», ha sottolineato il tema della «difesa della santità di ogni vita umana». Un’espressione che richiama sia il fermo no all’aborto «seria minaccia al bene comune» (problema con Biden) sia il sì all’equa accoglienza degli immigrati contro «devastanti » scelte di rifiuto e di divisione delle loro famiglie (problema con Trump). Tuttavia con Biden, come è stato con Trump, la Chiesa Usa, tanto quanto il Papa e la Santa Sede, intesse già il dialogo. Che naturalmente si fa in due, sempre. E le difficoltà ci sono: non sono mancate ieri e non mancheranno domani. C’è solo da sperare che i motivi di consonanza, e qualche seria dimostrazione di coerenza coi grandi valori umani che il cristianesimo illumina, prendano il sopravvento. Non è accettabile che si facciano nascere i bambini, per separarli poi dai genitori e per dare loro un decreto di espulsione. E non si possono davvero difendere i diritti dell’uomo e della donna, se si dichiara sostanzialmente irrilevante e persino «cosa» quel fragilissimo «uno di noi» che più di tutti, mentre è ma non è ancora nato, manca totalmente di voce. Ripeto spesso, e voglio farlo ancora una volta, che la vita non si può fare a pezzi, ma neanche la battaglia della vita si deve fare a pezzi. Vale in Europa, vale in America, vale in tutto il mondo. Per questo abbiamo bisogno di democrazie vere, di regole serie e rispettate da tutti, di visione e di tenacia. Per questo non servono mezze verità.