Caro direttore,vorrei condividere con lei e con i lettori del nostro giornale alcune preoccupazioni sulla manovra economica che il Parlamento sta per varare. La prima riguarda il modo con cui si affronta il contenuto delle questioni: si prospettano riforme strutturali (sulla previdenza, le istituzioni locali, il fisco) badando solo "a fare cassa". Non si vede l’approfondimento necessario per evitare stravolgimenti di norme che sono state pensate dentro un ordinamento costituzionalmente garantito. Nella fretta si rischia anche di trascurare il patto sociale su cui il nostro ordinamento è costruito, che, pur perfettibile e da aggiornare ai tempi, cercava di tener conto dei delicati equilibri richiesti dalla convivenza civile, in cui non ci siano fasce sociali e categorie economiche che prevaricano le une sulle altre. La seconda preoccupazione è conseguenza diretta della prima: si dice che in Italia le riforme si possono fare solo sulla pressione dell’emergenza, ma richiedono comunque una chiara idea di dove si vuole arrivare, e questa sembra mancare, per lo strabismo dovuto alla necessità di ascoltare le richieste europee di sistemare i conti pubblici e allo stesso tempo di non scontentare le categorie potenti dei propri elettori. Forse è per questo che la "manovra" sta diventando l’ennesima sceneggiata, con continui colpi di scena, misure annunciate e smentite nel breve volgere dei giorni, se non delle ore. Eppure , fuori dal clamore dei media, lodevoli sforzi sono stati almeno tentati. Ho partecipato al "tavolo" sulla riforma del fisco, presieduto dal presidente dell’Istat Giovannini, che si è occupato dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale, e il lavoro ha prodotto una analisi esauriente e completa della situazione. Ma al momento della proposta di soluzioni, non si è trovato spazio per le esigenze delle famiglie e per far convergere il consenso su alcune misure forti, pur riconosciute necessarie. Certamente le situazioni sono complesse, e non si possono trattare con brevità, ma purtroppo neppure con interventi legislativi di sapore elettoralistico. Questa è la mia terza ed ultima preoccupazione, poiché appare sempre più evidente l’inadeguatezza di questa classe politica, e la necessità urgente, tra le riforme da fare, di metter mano a disciplinare con legge la vita interna dei partiti e le regole elettorali, forse addirittura avviare un nuovo periodo costituente, per dare al Paese le riforme di cui ha bisogno, per ridurre gli sprechi e contenere le spese pubbliche, nel quadro di un patto tra le generazioni e i gruppi sociali, senza il quale, davvero, il futuro si prospetta declinante. E se la politica non fosse capace di autoriformarsi, riusciranno di nuovo i cattolici, "liberi e forti", a proporre al Paese una strada possibile verso il bene comune?
Andrea Tomasi, Università di Pisa
Lei, caro professor Tomasi, tratteggia con molta lucidità e competenza i problemi che stanno davanti al Paese, le irresolutezze e le miopie che lo penalizzano, le questioni che si pongono a coloro che, da cittadini e da cattolici, non si rassegnano all’attuale, insufficiente, qualità dell’azione e della partecipazione politica. Ci sono segni di cambiamento che balenano e speranze che si accendono, politici ancora giovani e già esperti che si mettono in gioco, figure nuove che si affacciano, sensibilità che tornano ad accordarsi seriamente, cercando non solo lunghezze d’onda comuni ma anche "ripetitori" (ovvero luoghi culturali e politici, coordinamenti e partiti) adeguati e capaci di irradiare con efficacia il segnale. Il che vuol dire ragionare e programmare con concretezza quella che lei definisce la «strada possibile verso il bene comune». Ho usato metafore radiotelevisive (segnali, onde, ripetitori...) ma non stiamo parlando di politica-spettacolo. Parliamo, anzi, dell’esatto contrario, perché di vaniloqui e contorsioni (a volte stordenti) non se ne può proprio più. Il punto è l’approdo a una politica tutta sostanza (e obiettivi antropologicamente e socialmente chiari) e niente messa in scena. I cattolici, negli ultimi anni, erano stati indotti a freddezza e lontananza dalla dimensione del servizio politico al Paese, ma ora vengono provocati dal tempo nuovo che si intravvede. E sono stati serenamente invitati dal Papa e dai nostri vescovi a spendersi con passione e competenza. Vedo che in tanti hanno ricominciato a porsi seriamente il problema e a incalzare altrettanto seriamente gli attuali protagonisti della scena pubblica. Da giornalista lo registro con cura, da uomo di speranza ne sono contento.
Marco Tarquinio