Poi, al secondo anno di questo tempo che resta sospeso, sono scesi in campo i bambini. E sulla fantastica lavagna di una piazza tutta per loro, stretta nell’abbraccio tenero e possente di un colonnato con la trapunta di torce a illuminare il cammino verso il buio della croce, hanno lasciato i loro freschi appunti di vita. Avevano bisogno, loro forse più di tutti, di far sapere innanzitutto al mondo dei grandi, che della scuola, ora che non possono andarci, manca proprio tutto, perfino i piccoli dispetti tra i compagni di banco. E mancano le amiche della pallavolo, quelli del gruppo scout, la scocciatura dei compiti e la routine di cui viene nostalgia solo quando s’interrompe. Avevano bisogno di dire, anzi gridare, dell’infamia di una solitudine che, in molti casi, li ha privati dell’addio ai nonni, portati via all’improvviso. E dire, anzi far capire, perché molti fanno finta di non saperlo, che anche i piccoli hanno le loro croci. Avevano molte più cose da dire, più degli stessi loro anni; e in quella piazza, come in una grande aula, hanno ripassato, non solo per sé, ma per tutti i loro amici, i compiti assegnati da una precoce scuola di vita.
Ma aveva più bisogno di loro, in questo secondo anno di pandemia, proprio piazza san Pietro, il luogo che ha fatto da sfondo, un anno fa, il 27 marzo, nella “Preghiera straordinaria”, speciale prologo alla Via Crucis coi carcerati, all’affresco d’epoca del dramma di questo tempo: l’immagine del Papa, solo, sovrastato dalla maestosità di spazi dilatati e quasi irriconoscibili, salire a passo lento verso il sagrato, dove aveva già portato con sé, dopo un pellegrinaggio nel deserto della città, il crocifisso di San Marcello al corso, posto accanto all’icona di Maria, Salus Populi romani. Quella statio orbis continua a essere il racconto più autentico e solenne di un tempo che tuttavia, pur nella sua radicalità, non è mai uguale a sé stesso.
Piazza San Pietro in mano ai bambini ha offerto, ora, i segni di un cambio di stagione pienamente avvertibile. Certo, la freschezza e la loro tenerezza. Ma non solo, perché, la piazza ha continuato a proporsi come cattedra attendibile degli eventi che nel mondo davvero contano; e a dire, a sua volta, che era proprio questo il tempo per affidare ai piccoli la rappresentazione del momento che si vive. E nel messaggio di Pasqua, l’affondo del Papa sulla questione cruciale dei vaccini – da distribuire a tutti e senza più ritardi – è stato come l’eco di quei passi bambini in cammino, sotto lo sguardo del mondo.
I bambini vivono e convivono di speranza e non potevano essere che loro a rappresentarla e farla simile a una scuola della quale non si può proprio fare a meno, tanto più quando i cancelli restano chiusi. E così sulla lavagna della piazza più bella e famosa del mondo i piccoli hanno lasciato, un anno dopo, il segno di un nuovo inizio, parlando, scrivendo e disegnando intorno al futuro. Perché c’era bisogno di chi lo rappresentasse e lo rendesse vivo, riportandolo al centro di una scena sempre più grigia e intristita. Non può essere questa la maschera vera del domani.
I bambini ci hanno fatto lezione dalla loro lavagna d’eccezione. Hanno riaperto, a modo loro, e stavolta in presenza, passo dopo passo in quella grande aula a cielo aperto, la scuola di una nuova e più concreta speranza.