Caro direttore,
da napoletano fino al midollo mi permetto di dire la mia su questa città che amo e che nel bene e nel male è stata la culla delle mie aspirazioni, dei miei sogni e delle mie delusioni. Innanzitutto vorrei ricordare alla gentile e illustre Marina Terragni che i napoletani di Ghirelli e Pasolini – che si chiamavano Marotta, Pomilio, Prisco, Rea, E.A. Mario, Viviani, Compagnone... – non ci sono più, e con loro è scomparsa quella Napoli, nobilissima capitale di arte e cultura. Di quella Città resta solo l’eco di un ricordo che si va affievolendo sempre di più sovrastato da una volgarità dilagante che è riuscita – meglio di Barnard – a trapiantarle nel petto un cuore finto, come è finto il “cartello dei taxi”, come erano finte le “cinture di sicurezza” dipinte sulle camicie degli automobilisti, come sono finti l’aria “mbarzamata”, il mare verde, le canzoni dei neomelodici, l’impegno per il lavoro, l’amore degli amministratori e di quegli abitanti che amano la città solo con parole vuote. L’unica cosa vera sono i suoi irrisolvibili problemi e le difficoltà che la assillano. Eppure, per una magia inspiegabile, comunque riesce ancora a lasciare un segno indelebile nell’anima e nel cuore dei suoi visitatori. Ancora, come per incantesimo, rimane una città unica, irripetibile, gioiosa e piangente, ladra e benefattrice, vera essenza della contraddizione! Per me, nato 80 anni fa in un vicolo di san Potito, rimane un dono del Signore fatto al mondo intero. E il mondo la ama. I napoletani no!
Raffaele Pisani, napoletano a Catania
Gentile direttore,
non occorre essere napoletani per provare disagio a leggere ciò che ha scritto Marina Terragni sotto il titolo “Napoli è”, versione italiana di una delle canzoni-mito di Pino Daniele. Un napoletano avrebbe, a sua volta, tutto il diritto di sentirsi offeso, dal momento che lo scritto non appare altro – anzi: non è – che l’ennesimo tributo a quel fardello di luoghi comuni dai quali Napoli non riesce a liberarsi. Certo, la città può metterci del suo – fino a “inventarsi” anche la bizzarria di un cartello falso a una falsa fermata di taxi (e magari fosse questo il più grave dei suoi mali). Ma un altro cartello, stavolta non farlocco, dovrebbe avvertire, per scampare un pericolo sempre in agguato: quello della caduta non di massi, ma appunto di luoghi comuni che, proprio come i massi fanno “male” a Napoli non meno, forse, degli stessi “mali” denunciati. Si dirà che la Napoli «tribù che ha deciso di estinguersi» proprio in virtù del fatto di essere napoletani e quindi “irripetibili, irriducibili e incorruttibili”, è stata così “dipinta” non dalla titolare della rubrica ma, nientemeno che, da Pier Paolo Pasolini e in un colloquio con il napoletano Antonio Ghirelli. Forse non era proprio questa la frase che, di Pasolini – e di quanto ha scritto su Napoli – meritasse di passare alla storia. Qui c’entrava appena la cronaca: e quella davvero minuta di un taxi chiamato, forse non solo a Napoli , desiderio... Napul’è.
Anna I., Napoli
Due interpretazioni differenti e differentemente sconsolate del breve e folgorante testo che Marina Terragni sabato 9 novembre ha dedicato a Napoli nella bella rubrica di prima pagina “Di questo mondo” che sta conducendo negli ultimi tre mesi del 2019. Un testo che trasmette un “disagio” curioso (e niente affatto sentenzioso) figlio di niente affatto celati affetto e ammirazione. Ma contano molto, moltissimo, gli occhi e il cuore dei lettori. E sono loro che giudicano, non noi. Registro, dunque, che Raffaele il poeta emigrato da Napoli dilata il suo amore per la città (che prende a pretesto quello di Terragni) in indignazione verso una parte dei suoi stessi concittadini. La signora Anna (che non vuole pubblicato il cognome) fa invece vibrare tutt’altre corde, come suonando con dolore uno strumento elegante e affilato, e pensa addirittura a un insulto in forma di «tributo al fardello dei luoghi comuni» anti-napoletani. Solo che non è così. Semplicemente non è così. E sta scritto.