Caro direttore,
ringrazio per l’attenzione mostrata dal suo giornale per le mie opinioni che, da ultimo, sono comparse nelle pagine dedicate domenica 9 dicembre al 70° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Leggendo il Manifesto sul diritto alla vita pubblicato in quella circostanza ho fatto delle riflessioni che mi permetto di comunicarle. Da lungo tempo condivido l’atteggiamento di un grande filosofo europeo vivente, Jürgen Habermas, che, da non credente e illuminista critico, ha aperto un dialogo con il pensiero religioso, in particolare cattolico, convinto che la radicalità di quei princìpi sia un permanente monito sui rischi di manipolazione tecnica e utilitaria che corriamo nelle società integralmente secolarizzate e sia di sprone ad avere piena consapevolezza della potenza della libertà, conquistata a costo di lotte e sacrifici, in tempi più recenti, anche dalle donne. Quindi comprendo il continuo impegno della Chiesa e del mondo cattolico nella battaglia contro la banalizzazione dell’aborto, con il richiamo al significato profondo, al dramma che la libertà di scelta comporta. Ma il terreno comune su cui il dialogo può stabilirsi è quello della libertà, solo a partire dal riconoscimento che le donne sono soggetti liberi, che si è definitivamente rotto quel vincolo, espressione di una costrizione millenaria, per cui le donne erano per destino naturale e culturale madri che si può combattere il ricorso all’aborto. A me pare che Il Manifesto non abbia compreso il valore di questo passaggio epocale e voglia riproporre una concezione naturalistica delle donne, per essenza destinate alla maternità e alla cura dei deboli e indifesi. Per scoraggiare il ricorso all’aborto io credo conti confrontarsi sulla libera responsabilità delle donne piuttosto che richiamarsi a vocazioni dettate dalla natura. Un caro saluto.
Francesca Izzo
Caro direttore,
in un momento in cui il dibattito pubblico in Italia ci lascia tanto insoddisfatti per il basso livello di riflessione sui problemi veri dell’umanità di oggi, leggere il manifesto «Dalla parte del più indifeso», sottoscritto da molte associazioni mi ha aperto il cuore alla speranza. Con parole sagge e meditate (invece delle tante parole prefabbricate e piene di odio che troppo spesso sentiamo) si affermano i princìpi saldi e insieme concreti di un umanesimo amorevole, unica vera guida per affrontare il dramma dell’aborto e i problemi della vita sociale. Questo umanesimo fa perno su due cardini, il riconoscimento della piena umanità del concepito e, come è oggi assolutamente indispensabile, su un autentico “femminismo” che non appiattisce la figura della donna sul modello riduzionistico del maschio produttore, ma ne riconosce tutte le preziose peculiarità senza le quali la vita umana sarebbe impoverita e addirittura annullata. Nel ringraziare il benemerito Movimento per la Vita, che si è fatto promotore di questa iniziativa, do per quel poco che vale la mia piena adesione al manifesto.
Maurizio Cotta
La pubblicazione su 'Avvenire' di domenica 9 dicembre, alla vigilia del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del Manifesto promosso e firmato da diversi movimenti e associazioni – primo fra tutti il Movimento per la Vita italiano – ha provocato diverse reazioni e ulteriori adesioni. Tra queste ne scelgo due di diverso tono e segno e d’identica chiarezza, provenienti da altrettanti intellettuali e accademici: Francesca Izzo e Maurizio Cotta. Alla professoressa Izzo dico grazie per le belle e liberanti battaglie condivise, come quella per la denuncia e messa al bando della cosiddetta «maternità surrogata», e le confermo grande attenzione e stima per il suo limpido, stimolante e responsabile pensiero femminista. Al professor Cotta dico un grazie davvero sentito per la sua ampia e lunga riflessione sulla libertà, la cittadinanza e la rappresentanza che mi riporta, con la memoria e un po’ di rimpianto, anche alla mia giovinezza e dell’attenzione con cui – da lontano e con la curiosa e cruciale voracità di quegli anni – seguii anche il suo lavoro. Qui mi limito a un’annotazione. Sono convinto anch’io che la battaglia per affermare il valore mai manipolabile e commerciabile della vita per «combattere il ricorso all’aborto» non sarà vinta senza la decisiva e libera consapevolezza delle donne e che questa stessa consapevolezza ci è necessaria, nel cambiamento d’epoca che stiamo affrontando, per scrivere e vivere interamente le nuove e necessarie pagine di un umanesimo forte, concreto e «amorevole».