Si parla tanto e in molti casi purtroppo giustamente di sanità alla deriva, ma si fa fatica a capire in profondità cosa stia accadendo e quali siano le strategie più efficaci per provare a rispondere a un problema enorme. Ciò che stiamo vivendo oggi - e continueremo a vivere presumibilmente domani - è in realtà frutto di una buona e di una cattiva notizia.
La buona notizia è che il progresso medico-scientifico sta vivendo un’ulteriore fase di accelerazione: se con la rete era cresciuta la velocità di circolazione delle conoscenze, con l’avvento dell’intelligenza artificiale c’è un salto in avanti nella velocità di rielaborazione delle stesse. La cattiva notizia è che tale dinamica, paradossalmente, si risolverà a breve in un aumento della domanda economica di cure: il progresso medico in moltissimi casi trasforma malattie mortali in croniche e aumenta non solo l’aspettativa di vita tout court, ma anche quella “non in buona salute” e, con essa, il fabbisogno di spesa sanitaria.
Per affrontare questa nuova situazione, in Italia come in altri Paesi, c’è sempre più consapevolezza della necessità in ambito di sanità di una rivoluzione di squadra e di processo dove il pubblico, il privato profit e il privato not for profit uniscono le forze in un sistema di azione integrato che si avvale di una co-programmazione condivisa. In Italia il principio della “superiorità” della co-programmazione è stato sancito dalla sentenza n.131 della Corte Costituzionale in virtù della complementarità delle forze e della capacità del Terzo settore e dei portatori d’interesse locali di essere più prossimi, più informati e più capaci di intervenire per risolvere i problemi. Ma anche nel Regno, Unito ad esempio, proprio nel settore della sanità, il modello degli Integrated Care Services che mette assieme strutture pubbliche e azione di imprese e comunità locali viene sperimentato e comincia a diffondersi con una trentina di esperienze in diverse aree del Paese.
Il valore del mix tra i diversi attori emerge dalla differenza di compiti e di competenze e dai vantaggi comparati. Si va delineando un sistema dove il pubblico garantisce l’accesso universale in caso di acuzie (il codice rosso del pronto soccorso), ma non ha le risorse per seguire tutti i pazienti nella fase successiva, in cui si avvale del concorso del privato convenzionato. A questo punto si apre un doppio canale, dove il servizio a pagamento per gli abbienti sussidia la prestazione gratuita convenzionata per i meno abbienti. Il Terzo settore gioca un ruolo importante in questo sistema come modello di governance in tutti quegli enti che si dedicano ad attività ad alta intensità di lavoro professionale e relazionale con un vantaggio comparato (assistenza domiciliare, cure palliative). È proprio il settore delle cure palliative a darci un’idea della portata nuova dei problemi e dell’importanza del mix degli attori dedicati. Si stima attualmente che circa 500mila pazienti l’anno in Italia abbiano bisogno di cure palliative e che il 66% circa delle organizzazioni siano sono enti del Terzo settore. Con questo mix, oggi, si fa il possibile sapendo che purtroppo non basta. Molti italiani sono costretti di fatto a rinunciare alle cure nella fase post-acuzie per le lunghissime file d’attesa nel pubblico. Trovare un posto letto in ospedale è difficile, e questo intasa i pronto soccorso. Appena una persona su tre riceve le cure palliative e solo sei Regioni, tutte del Centro-nord, hanno attivato la procedura di accreditamento dei centri in grado di erogare il servizio.
In un Paese in profonda crisi demografica come il nostro, dove circa un terzo delle persone è single e la quota di anziani ampia e in aumento, per coprire con qualità il crescente fabbisogno è necessario anzitutto passare dalla logica prestazionale a quella di prossimità e di presa in carico, ovvero da un approccio istituzionale a uno di comunità. Il valore centrale diventa dunque quello della relazione, dell’attivazione e della distribuzione della cura. É questo uno dei motivi fondamentali per cui il Terzo settore, per la sua capacità di attivare motivazioni intrinseche e lavoro volontario, ha e continuerà ad avere un ruolo fondamentale.
La filosofa Jennifer Nedelsky ricorda che quando ci incontriamo dovremmo domandarci non solo “che lavoro fai”, ma anche “di chi ti prendi cura”. Gli studi sulla soddisfazione e ricchezza di senso di vita ci dicono che significato, generatività e qualità della vita di relazioni sono fondamentali per il benessere soggettivo, per la longevità e per la stessa prevenzione di patologie e cronicità. Un sistema che attiva relazioni di cura in modo diffuso non fa bene solo ai “malati” ma anche ai cosiddetti “sani” e a chi si fa carico del problema. Il nuovo approccio dei sistemi sanitari integrati dove i diversi attori (pubblico, privato, Terzo settore) co-programmano gli interventi attivando comunità, partecipazione e relazioni ha ambizione e possibilità di incidere significativamente su entrambi i fattori, con indubbi impatti positivi sugli anni di vita felici.
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