giovedì 4 giugno 2009
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Caro Direttore,da circa dieci lavoro come addetto stampa e ghost writer per un noto deputato di sinistra che ha fatto, almeno a parole, della legalità la sua ragione di lotta politica, di vita e di morte. Un lavoro duro il mio, senza orari, né ferie o pause, ma sempre esaltante, anche se mi ha causato e mi causa ancora qualche grave problema di salute per il continuo stress. Ma il mio caro deputato, nonostante ne avesse e ne abbia tuttora la possibilità, si è sempre rifiutato di regolare in qualche modo il mio contratto di lavoro. In pratica, ho sempre lavorato in nero (da lui non ho avuto mai né un co.co.co né un co.co.pro. o una prestazione occasionale), non potendo versare alcun contributo, se non quelli minimi, e trovandomi costretto a non dichiarare quelli, davvero esigui, finora percepiti. Compensi talmente esigui da costringermi ad una vita davvero povera e piena di mortificazioni e di privazioni. La risposta a ogni mia richiesta di regolarizzazione o di aumento di salario è stata sempre la minaccia del licenziamento in tronco o il silenzio. Gli anni spesi al suo, letteralmente, servizio non sono, quindi, valsi a nulla. Come nulla sembra valere la mia professionalità, la conoscenza delle lingue, che gli ha dato e gli dà ancora un ottimo ritorno con la stampa estera, e le mie pubblicazioni. Adesso a quarant’anni mi trovo senza un avvenire e a continuare a scrivere le sue dichiarazioni contro l’illegalità e il malaffare (sempre dell’opposta parte politica). Solo che ora tutto questo, oltre che psicologicamente, mi è anche fisicamente insopportabile. E il pensiero di un futuro assai incerto, fatto magari di maggiore miseria e di assenza di lavoro, mi spinge a covare i propositi più foschi. Sono sempre stato un militante di sinistra, ho sempre votato a sinistra perché mi hanno insegnato che la sinistra sta sempre dalla parte dei lavoratori... Ma mi chiedo cosa c’entri gente come il mio capo con la sinistra, con la gente che fatica tutto il giorno...

Lettera firmata

Lo scandalo di tanti collaboratori parlamentari costretti a lavorare « in nero » con retribuzioni misere è una vergogna che non solo svilisce le Assemblee legislative, ma le mette alla berlina perché incapaci fino ad oggi di applicare per sé le norme del lavoro che « impongono » ai cittadini. È mortificante che sia stato necessario emanare specifici regolamenti da parte dei presidenti di Camera e Senato per sancire che l’accesso al Parlamento sarà consentito solo a collaboratori assunti con contratto regolare. Non è qualunquismo interrogarsi su quale dedizione al bene pubblico possano esprimere deputati e senatori che, lautamente retribuiti, pretendono di trattenere per sé anche buona parte della quota specificamente percepita per compensare i collaboratori. Indigna constatare come i partiti finora non abbiano voluto far pulizia di un fenomeno tanto deprecabile quanto notorio. Eppure basterebbe negare qualsiasi ricandidatura a chi non dimostri di aver speso correttamente quanto ricevuto per pagare i collaboratori. Oppure, seguendo la strada percorsa in altri Paesi, facendo compensare i collaboratori direttamente dall’istituzione. Strade semplici, prive di controindicazioni, a eccezione di quelle pretestuose di chi vuole intascare anche quelle migliaia di euro mensili supplementari. Se poi, come lei testimonia, tale stile è proprio anche di chi ha sempre pronta la bocca – e il comunicato stampa – per denunciare le ingiustizie altrui, l’indignazione o lo scoramento salgono ancora di grado. I parlamentari devono capire che la loro noncuranza di casta verso le richieste di giustizia e trasparenza non è più a lungo tollerabile. Non sono più accettabili meline sulla riduzione del numero, su quella dei compensi – che vanno ricondotti a livelli paragonabili con quelli dei Paesi europei con coi confrontabili –, sull’applicazione a se stessi delle regole cui si sottopongono gli altri, specie in materia previdenziale. Nel frattempo, visto che in questi giorni tutti noi siamo corteggiati da politici, possiamo cominciare chiedendo a chi ci interpella come si regola coi propri collaboratori.

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