Il terrorismo più vile e feroce è riapparso in Europa, quando gli altri orrori del conflitto in Ucraina, del pogrom anti-ebraico di Hamas e dell’invasione israeliana di Gaza ci avevano reso più sfocato il ricordo degli assalti ai luoghi pacifici delle nostre città, sale concerti comprese, come la Crocus City Hall di Mosca. Nel mondo interconnesso e spasmodicamente raccontato in tempo reale dalle nuove tecnologie, venerdì sera non poteva non scattare il riflesso di collegare il massacro di inermi spettatori russi con i combattimenti in corso che spesso coinvolgono i civili. E un brivido ha percorso il Continente, che fosse la miccia per l’immaginabile, l’innesco di una detonazione ancora più devastante. È comprensibile che qualcuno possa avere i nervi a fior di pelle, dobbiamo auspicare che li tengano invece saldi coloro che hanno letteralmente in mano le valigette del comando militare. Le prime parole pronunciate da Volodymyr Zelensky (che ha negato risolutamente ogni coinvolgimento) e da Vladimir Putin, soprattutto, hanno fatto calare leggermente la tensione. Potrebbe essere veritiera la rivendicazione compiuta dallo Stato islamico e i quattro attentatori, forse già catturati – le notizie che giungono dalla Russia vanno prese con una certa cautela -, sarebbero esponenti dell’Isis Khorasan, un gruppo del fondamentalismo islamico ancora alla ricerca di un nuovo califfato, dopo quello che cinque anni fa ha concluso la sua breve e violenta esistenza tra Iraq e Siria.
Restano le oltre 140 vittime, in un bilancio destinato a crescere, e il senso di un’escalation destinata a minare le basi della nostra sicurezza e a rendere sempre meno solide le nostre certezze che i tamburi di guerra resteranno solo echi lontani. Non sembra esservi nessun legame tra gli stragisti e Kiev, se anche il Cremlino si è limitato a un generico riferimento che non poteva mancare nelle reazioni a caldo dopo l’eccidio. Di fronte a un’azione di questo tipo facile ora fare speculazioni sul “a chi giova?” e trarne conclusioni affrettate. Putin forse ha sottovalutato l’allarme lanciato dai servizi segreti americani (che si dimostrano davvero informati: avevano previsto anche l’invasione, da quasi tutti negata, del 24 febbraio 2022) perché si sentiva forte; oppure cinicamente pensava di sfruttare eventuali attacchi per stringere la morsa della repressione e giustificare qualche passo ulteriore nel dispositivo bellico messo in campo contro l’Ucraina. Forse, più semplicemente e rifuggendo le soffocanti letture complottiste di quest’epoca, l’Isis ha colpito quando ha trovato alcuni aspiranti “martiri” capaci di portare a termine un piano di morte. E la Russia che ha appoggiato il regime di Assad in Siria, quello dei taleban a Kabul e reprime le frange musulmane radicali sunnite nelle proprie province asiatiche continua a essere un bersaglio privilegiato dei terroristi.
Mosca ha sollecitato un’alleanza internazionale per reprimere la minaccia che torna a farsi insidiosa, ma l’invito suona oggi particolarmente paradossale. È stato il Cremlino ad allargare la spaccatura nella comunità internazionale e polarizzare gli scenari tra un Occidente ampiamente inteso e un Sud globale. A farne le spese, con responsabilità diversamente distribuite, è la pace stessa. Si è visto nelle scorse ore al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove la risoluzione americana per il cessate il fuoco in Medio Oriente è stata bloccata dal veto di Russia e Cina, un favore a Israele motivato soltanto dall’avversione verso Washington e dalla volontà di non essere dalla stessa parte, anche se per una causa più che buona. In questo contesto si può inserire il tentativo dell’estremismo islamista di incendiare ulteriormente alcuni scacchieri e sollecitare un nuovo proselitismo anche sull’onda dell’indignazione del mondo islamico per quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza. Per tale motivo avremmo tutti bisogno di un foro internazionale come le Nazioni Unite dove, come dice il nome stesso (ci riflettiamo troppo poco), si possa cercare una composizione delle contrapposizioni e delle rivalità, togliendo spazio e legittimità a chi lavora per dividere. Ma siamo ancora agli auspici. Difficile ipotizzare a breve mutamenti di atteggiamento delle parti coinvolte dalla crisi multilaterale che stiamo drammaticamente vivendo. Né possiamo sperare che siano i massacri di cittadini a un evento musicale a fare cambiare idea ai leader (anche se la Casa Bianca ha detto che l’Isis è un “nemico comune” aprendo un piccolo spiraglio di collaborazione). Servono realismo, buona volontà e fantasia diplomatica. Merci, purtroppo, ancora rare al mercato della politica mondiale.