Caro direttore,
in merito all’articolo di Lucia Bellaspiga – apparso sul suo giornale il giorno 29 maggio 2014 – a proposito della presunta censura di Facebook del capitolo 2 del libro di Mario Adinolfi, “Voglio la mamma”, libro che esprime una tesi contro il matrimonio gay che Avvenire evidentemente fa propria, vorrei esprimere il mio fastidio per l’impostazione pretestuosa dell’articolo. È chiaro che essere contro i matrimoni gay è assolutamente lecito, ma alimentare idee assurde come quella che l’estensione di questo diritto alle coppie gay potrebbe portare alla possibilità di unioni con più persone, con animali o con oggetti (concetto espresso da Adinolfi e che “Avvenire” mette in risalto dando l’idea di appoggiarlo) è davvero sconfortante e lo è, non tanto perché risulta chiaro che nessun gay vorrebbe sposarsi con più persone (così come nessun gay o etero sano di mente vorrebbe sposarsi con il proprio cane), ma perché alimenta un pregiudizio e sminuisce il valore di un’unione spesso di una vita intera. Anche se è evidente che “Avvenire” non è un quotidiano come tutti gli altri e quindi risulta ovvio un certo orientamento, ci si aspetterebbe – anche per rispetto dei bravi giornalisti che scrivono sul suo giornale – un atteggiamento più sensibile in merito – peraltro messo in atto da Papa Francesco stesso – e anche qualche “contraddittorio”, che farebbe apparire le idee espresse dal vostro giornale anche più rappresentative del mondo cattolico. L’onda lunga di tali pregiudizi espressi sembra estendersi anche alle unioni civili che uno stato laico dovrebbe garantire a prescindere dalla sacralità del vincolo matrimoniale (come peraltro in tutta Europa accade da anni). Distinti saluti
Emanuele Ricci
Premetto, caro signor Ricci, che la mia riflessione si concentrerà su due punti e che lascerò alla collega Bellaspiga una risposta di merito sull’articolo che l’ha indotta a scrivermi. Il primo punto riguarda la sua affermazione secondo la quale «“Avvenire” non è un quotidiano come tutti gli altri» perché dichiara la propria ispirazione cattolica. Non è esattamente vero. Siamo “differenti” perché non nascondiamo le nostre opinioni e non le mettiamo neanche sopra ai fatti di cronaca o ai dibattiti politici e culturali di cui diamo conto, deformandoli e tradendoli, ma siamo esattamente “uguali” come doveri informativi a ogni altro quotidiano. E, di nuovo, siamo un po’ speciali per come cerchiamo di onorare quei doveri che non sono solo nostri, e cioè scegliendo un’ottica universale (cattolica, in senso letterale, appunto) e dal basso (la cristiana preferenza per i poveri, i deboli, i fragili, i senza voce…). “Avvenire” è stato concepito esattamente in questo modo, grazie a quello straordinario padre che è stato, e resta, per la nostra testata Paolo VI e grazie al lascito dei giornali–madre (“L’Italia” e “L’Avvenire d’Italia”) dai quali proveniamo. Noi siamo tenuti a fare un giornalismo così, magari non sempre ci riusciamo al meglio, ma continuiamo a provarci e non smetteremo di farlo grazie ai «bravi giornalisti» che frequentano (vedo che anche lei li apprezza) queste colonne. Il secondo punto riguarda la «sensibilità» che dovremmo far emergere, ispirandoci a Papa Francesco, per le tesi dei sostenitori del «matrimonio gay». Il Papa ricorda a tutti, credenti e non credenti, la verità della realtà della famiglia che nasce dal matrimonio di un uomo e di una donna, e ricorda che questa realtà buona fonda la società e le dà futuro. Noi, alla scuola sua e dei suoi predecessori, parlando delle leggi della Repubblica (e non dunque delle regole della Chiesa sulle quali nessun legislatore civile ha potere di intervento) diciamo da anni che non ci fa paura e anzi apprezziamo uno Stato che sappia costruire nuovi e ben calibrati strumenti di solidarietà tra le persone, ma che non apprezzeremmo affatto uno Stato che arrivi a confondere la specialissima e naturalmente fertile relazione matrimoniale con relazioni d’altro tipo (anche tra persone dello stesso sesso) che sono eventualmente regolabili sul piano patrimoniale, cioè su un piano altro rispetto a quello “dei figli”. Figli che nascono sempre da una madre e da un padre, e non devono mai essere strappati in modo premeditato dalla verità originaria di questa relazione forte per diventare oggetto di un “diritto” altrui, che si traduce inesorabilmente in pratiche di “produzione”, di “selezione” e di “mercato” dell’umano. Nel mondo e in Europa c’è chi va su quest’ultima pericolosissima strada? Non ci sono motivi per fare lo stesso errore. Ricambio il suo saluto, e passo la penna a Lucia Bellaspiga.
Il mio articolo, gentile signor Ricci, riguardava non la presunta, ma l’avvenuta censura da parte di Facebook del capitolo 2 del libro “Voglio la mamma” di Mario Adinolfi, postato dall’autore sul suo profilo personale. Se un social network – dove si pubblica davvero di tutto e si esulta perfino al raggiungimento della 9millesima bestemmia a Dio (purtroppo può ancora facilmente leggerle tutte e 9mila) – arriva a rimuovere d’autorità tale capitolo, deve trattarsi di qualcosa di osceno. Questo mi sono detta e l’ho letto. Invece ci ho trovato solo l’opinione dell’autore, che è contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso e spiega pacatamente perché. Dunque Facebook ha censurato le libere idee di un libero cittadino che non insultava nessuno. Tant’è che, riletti i contenuti in questione, lo stesso team di Fb ha ammesso l’errore. Che la sottoscritta e, per il mio tramite, “Avvenire” la pensi o meno come Adinolfi non è il punto: noi difendiamo la libertà di pensare il matrimonio, e di crederlo, come unione tra un uomo e una donna. E difendiamo la libertà di poterlo affermare. Sono dunque lieta della sua gentile ammissione che «essere contro i matrimoni gay è assolutamente lecito», perché presto potrebbe invece essere marchio di «omofobia» e motivo di repressione poliziesca e giudiziaria (ddl Scalfarotto), mentre già oggi è causa di gogna mediatica (caso Barilla). Sono anche d’accordo con lei nel definire «assurde» alcune argomentazioni purtroppo circolanti, che in certi dibattiti trovano spazio e approvazione. Non colgo invece come quel mio articolo estenda «un’ombra lunga» sul tema delle «unioni civili», che a suo (e a mio) dire «uno Stato laico» deve «garantire a prescindere dalla sacralità del vincolo matrimoniale». Io non ne ho accennato, comunque la notizia è che tutto questo già avviene: basta andare in municipio per sposarsi e non in Chiesa.
Lucia Bellaspiga