L’Umanesimo cristiano e l’Umanesimo laico hanno sempre ritrovato – nei loro esponenti maggiori e nelle loro formulazioni più profonde – un vero e significativo terreno d’incontro nella conoscenza storica, intesa come canone fondamentale di senso critico e perciò come lezione di libertà nella vita civile (Historia magistra vitae). Purtroppo negli ultimi decenni, accanto a processi sociali 'disumanizzanti' e a indirizzi culturali nichilistici e post-umani, si è avuta una crescente marginalizzazione della conoscenza storica: nell’elaborazione civile e politica, nella comunicazione di massa, nella cultura diffusa.
La seria e rigorosa conoscenza storica, fondata su ricerche di prima mano e su una attenta critica delle fonti, e che porta a ricostruzioni scientificamente fondate, è stata spesso sostituita – perfino nei panchetti delle librerie dedicati ai libri di storia – da un mix di storia divulgativa e sensazionalistica e di memorialistica, se non proprio da veri e propri casi di fake history, di storia falsata. Risultato? Aumento dell’ignoranza storica e, purtroppo, conseguente indebolirsi del senso critico e, in fondo, della libertà intellettuale, necessario fondamento della libertà politica.
E mentre sia gli storici professionali sia i docenti di storia nelle scuole secondarie continuavano nel loro impegno scientifico e didattico (con difficoltà non piccole), dal Ministero dell’Istruzione giungevano, purtroppo, segnali scoraggianti, che, invece di contrastare, assecondavano la svalutazione della conoscenza storica nel senso comune. Per questo è da salutare come molto positiva la recente dichiarazione del ministro Fioramonti sull’insegnamento della storia. Il ministro, infatti, non solo ha detto che sarà ripristinato il tema di storia tra le tracce dell’Esame di Stato 2020 (ed è una buona notizia), ma ha anche sviluppato sintetiche riflessioni che si possono condividere. Ha parlato infatti dell’opportunità della conoscenza anche della storia della storiografia e ha osservato «basterebbe un brano di Salvemini sulla scuola italiana per spingere gli studenti verso una disciplina che troppo spesso viene vissuta come una pesante enciclopedia estranea alla vita».
L’esempio è quanto mai calzante. Nell’ambito della storia generale, infatti, ci sono poi le 'storie particolari', che – se non emarginate – possono accendere l’interesse degli studenti: la storia della scuola (insieme alla storia delle teorie dell’educazione) entra, così, in un ambito – sia di vissuti personali sia di dibattito politico sia di ricerca pedagogica – molto ricco e stimolante. Purtroppo anche la storia dell’educazione – che pure negli ultimi decenni ha visto in Italia un notevole sviluppo della ricerca scientifica – si trova, oggi, a rischio di emarginazione: tanto nei Licei delle scienze umane quanto nei percorsi universitari per la formazione di insegnanti ed educatori. Opportunamente allora il ministro annuncia il proposito di «riformare l’insegnamento della storia, rafforzando il legame con la dimensione sociale». Se questo rafforzamento non viene inteso in senso ideologico, allora può avvenire solo con un irrobustimento delle 'storie particolari', soprattutto quelle più legate al tipo di scuola.
È necessario che nei licei (in particolare nel Liceo delle scienze umane, ma anche negli altri) si allarghi e si approfondisca l’insegnamento della storia generale, ma anche della storia della scuola, della storia dell’educazione, della storia della letteratura per l’infanzia. È allora da constare come sia opportuno che alcuni 'classici' entrino nel canone della formazione (soprattutto liceale) degli studenti italiani o vi ritornino. Voglio dire che le figure e il pensiero di una Maria Montessori o di un don Lorenzo Milani, ben noti e studiati in molti Paesi del mondo, non sono invece spesso conosciuti da uno studente italiano del Liceo classico o del Liceo scientifico; e che personaggi come Antonio Rosmini, filosofo e pedagogista, un tempo non lontano ritenuti pietra angolare dello sviluppo della scuola pedagogica nazionale (a partire dal Risorgimento), oggi non sono più valorizzati, come si potrebbe e dovrebbe (e il forte rilancio degli studi rosminiani lo dimostra).
E, anche qui, a scapito del senso critico, nell’ambito civile in generale e di quello dell’educazione in particolare. Il ministro annuncia anche un opportuno «confronto con gli studiosi» Mi pare di buon auspicio per un effettivo miglioramento della scuola italiana, che non si fermi ai triti metodologismi neotecnologici, ma entri nel merito disciplinare con autentico spirito scientifico e per un’educazione – umanisticamente intesa – al senso critico.
Presidente del Cirse (Centro italiano per la ricerca storico educativa)