Caro direttore,
la Giornata del diritti dell’infanzia che celebreremo domani, a trent’anni dalla Convenzione Onu del 20 novembre 1989, offre l’occasione per riflettere su quale sia davvero il best interest dei bambini. Le polemiche – spesso di stampo ideologico – aperte dai casi recenti (come quelli della Val d’Enza) spingono a confrontarsi per ascoltare la voce delle famiglie affidatarie. Chi si è fatto carico di un bambino/a o di un adolescente in difficoltà, che la famiglia fatica a curare e far crescere, sa che il compito è arduo. Non è una responsabilità che ci si assume a cuor leggero, né tanto meno per denaro.
Lo testimoniano le famiglie associate in tante reti del mondo cattolico, come Famiglie per l’accoglienza, Famiglie Nuove dei Focolari, la rete Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) e così via. La strumentalizzazione mediatica e politica che si è invece scatenata sul tema dell’affido colpisce per la sua intensità e ne è prova la drastica riduzione delle disponibilità all’affido registrata in tutte le Regioni italiane dopo gli scandali.
Accogliere temporaneamente bambini a rischio è un compito difficile, che pochi vogliono affrontare e quei pochi vengono ora demotivati se non addirittura indiscriminatamente accusati di essere mossi da «interessi economici» (o ideologici). Altrettanto sconcertante è l’attacco che molte comunità di accoglienza stanno subendo, al pari di Ong e cooperative del Terzo settore, accusate di lucrare sui bambini o di essere ambienti non idonei alla loro crescita. In realtà, com’è noto, le comunità di accoglienza, nella grande maggioranza dei casi, ricevono modesti contributi e ben pochi riconoscimenti, e per di più sono da mesi nel mirino di chi punta a indebolire la fiducia nella vocazione alla solidarietà degli organismi non profit. L’articolo 403 del Codice civile, che permette l’allontanamento di un minore su giudizio autonomo dei servizi sociali è da tempo oggetto di proposte di revisione, ma di per sé dispone che una decisione così impattante sul bambino e sulla sua cerchia di relazioni venga presa da un insieme di soggetti, con al centro il Tribunale per i minorenni.
Va anche chiarito che l’allontanamento non sempre è per abusi di tipo sessuale, ma nella maggioranza dei casi avviene per trascuratezza, abbandono di fatto, maltrattamenti psicologici e questo dovrebbe indurre a un approccio specifico su questo tipo di problemi. I casi di cronaca anche recenti che documentano il degrado familiare che si scarica sui piccoli, come quello di Giuseppe, di 7 anni, ucciso a botte a Cardito dal patrigno, scatenano reazioni altrettanto radicali nell’opinione pubblica: non si poteva intervenire prima, dato che il bimbo e la sorellina si presentavano spesso in classe con i segni delle percosse? Dov’erano i servizi sociali e la scuola e perché non sono stati oggetto di una mobilitazione di protesta per questo e mille altri casi di grave omissione?
La 'bontà naturale' della famiglia non può essere il criterio per stabilire il miglior interesse di un bambino. Si tornerebbe indietro di decenni, distruggendo quella 'cultura del minore' faticosamente costruita da realtà solidali – da Nomadelfia alla Comunità papa Giovanni XXIII – o da magistrati come Alfredo Carlo Moro. Una famiglia che non rispetta un bambino non può essere intoccabile, e i servizi e gli adulti che esercitano una tutela nei confronti del piccolo devono essere responsabili e sostenere la famiglia nell’esercizio del proprio ruolo.
Qual è la scelta migliore per un bambino in situazione di rischio: restare o no con una madre instabile o con un padre violento? Affidarlo ai nonni o a una coppia idonea? Indubbiamente la migliore cultura pedagogica da tempo afferma che il bambino si aiuta con la sua famiglia d’origine, per quanto fragile, non contro di essa: ma l’allontanamento (temporaneo o meno) può essere in alcuni casi una soluzione, anche se estrema. Ogni scelta è da operare nel «miglior interesse » del minore; e il best interest non è assoluto, ma dipende dalla situazione. La protezione minorile è un sistema dove devono in ogni caso convergere più punti di vista professionali. E l’ascolto dei genitori, finora troppo marginalizzato, è indispensabile.
La proposta di riforma della legge 184/1983 oggi in discussione presenta punti utili, ma anche numerose ombre: delinea sotto vari aspetti il rischio di rendere meno forte la protezione dei bambini, riducendo le possibilità di allontanamento ai soli casi di grave pericolo o stabilendo di collocare il bambino presso parenti o vicini solo per la frequentazione senza accertarne le competenze educative, o considerando solo le problematiche economiche come causa di trascuratezza.
La proposta introduce inoltre misure di verifica verso le comunità di accoglienza che fanno trasparire ampiamente il sospetto indiscriminato verso queste realtà. La strada, invece, è una riforma equilibrata e condivisa del sistema. I bambini non si aiutano pretendendo di salvarli contro la loro famiglia, né minando la fiducia nel sistema di tutela pubblico e di tante associazioni e comunità del Terzo settore verso bambini e famiglie vulnerabili.
Pedagogista, Università Cattolica del Sacro Cuore