Non distruggete l'ospitalità diffusa
giovedì 1 aprile 2021

Caro direttore

il 21 marzo, giornata che annuncia il fiorire della primavera, è anche la Giornata della poesia. I poeti amano l’inverno, i lunghi silenzi. Parlano raramente, ma quando lo fanno è bene ascoltarli. Non pronunciano soltanto parole scritte. Ci sono anche i 'poeti sociali': una bellissima definizione data da papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. Sono quelli che scrivono parole nuove, vitali, parole di creatività sociale. Anche questi amano operare nel silenzio. Ma non sono ammutoliti: quando necessario alzano la voce e decidono di 'uscire da un sofferto silenzio'. È il titolo assegnato al comunicato 'primaverile' (21 marzo) della Fondazione Sant’Ignazio e dei molti attori di accoglienza che in Trentino operano per un vero e proprio 'cambio di stagione' nelle politiche dell’integrazione: con una progettualità condivisa, hanno da tempo deciso di aprire le porte delle loro comunità perché non ci siano 'comunità a parte', apartheid, ma perché tutti siano 'parti della comunità'. Il comunicato-denuncia riguarda una questione che non è certo di rilevanza soltanto locale.

Veniamo ai fatti. Proprio in zona Trento c’è la residenza Fersina, che da tempo ospita persone richiedenti asilo (attualmente circa 120). Come tante altre, è una 'comunità a parte', fuori dai margini, dove la marginalità subìta annienta le progettualità personali e spesso trasforma le frustrazioni in aggressività manifesta. Il 'cambio di stagione' avrebbe previsto l’attuazione di una graduale 'ospitalità diffusa', grazie alla rete di disponibilità predisposta proprio dalla Fondazione. Invece l’Amministrazione provinciale ha bloccato questa progettualità con un provvedimento unilaterale che disattende quanto concordato nei mesi scorsi. Non è stata esplicitata la motivazione politica che ritiene conveniente questa retromarcia, ma - e qui manifesto il mio pensiero - appare tutt’altro che saggia. Non dico nulla di nuovo: esperienze diffuse e ricerche effettuate in molti ambiti dimostrano quello che anche il solo buon senso suggerisce. Che la dignità compressa genera violenza. Che le aree di emarginazione si trasformano presto in metastasi del corpo sociale e provocano la degenerazione di tutto l’organismo. Che gli esempi di intolleranza giustificano e accentuano l’intolleranza diffusa. C’è insomma una dimensione destruens che, in tanti modi, si accentua e si incancrenisce nella 'cultura dello scarto'.

Da cittadino - e da studioso dell’agire educativo , so che è sempre possibile mettere in atto una maieutica construens, quando l’organismo sociale sappia superare il lockdown valoriale e nutrirsi di parole nuove, davvero poetiche, generative, come ospitalità, accoglienza, condivisione, solidarietà, fraternità: parole che, come ci insegna questa fase di vulnerabilità globale, affermano che siamo interdipendenti, relazionalità, chiamati a essere inclusivi, attori di comunità integranti e aperte. Parole che, oltretutto, sono patrimonio della nostra Costituzione.

Il progetto di 'accoglienza diffusa' della Fondazione Sant’Ignazio sta tutto in questo vocabolario innovativo, in questa prospettiva costruttiva, che concretamente può innervare i territori e renderli comunità autentica, dove la convivialità delle differenze garantisce quella creatività sociale che nasce proprio da questa maieutica e che, come la storia testimonia, è base della vera sicurezza.

È una maieutica difficile, non nascondiamocelo. Ma siamo chiamati a rompere i silenzi, a dire parole autorevoli perché confermate dal vissuto. Esiste la 'poesia sociale', che vale dappertutto. Sarebbe necessario che anche la politica, tradendo almeno un po’ il parlare prosaico e accedendo più compiutamente alla sua vocazione, si esprimesse oggi con l’energia trasformativa del linguaggio poetico.

Pedagogista, Università di Trento, già ordinario Università di Padova

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