sabato 27 aprile 2013
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Caro direttore,
il disastro politico degli ultimi giorni, riscattato solo dal sacrificio del nostro Presidente, ha avuto, a mio modestissimo modo di vedere, una conseguenza positiva: l’esplosione del Pd. Lo dico da cattolico “centrista”, non certamente da berlusconiano incallito, quale non sono. Come ho letto pochi giorni fa in un bell’articolo di Sergio Soave, nel Pd convivono (convivevano?) anime molto diverse. Sarò stupido, ma non ho mai capito la necessità di questa convivenza. Perché gli “ex­popolari”, “cattolici democratici”, “cristiano sociali” o come vogliamo definirli, devono fare un partito con i (post-)comunisti piuttosto che con i cattolici che si riconoscono più propriamente nell’area del Ppe?
Perché Rosy Bindi preferisce avere come compagno di partito Bersani e come avversario (poco dialogante) Lupi, piuttosto che avere come compagno di partito Lupi e come “alternativa dialogante” Bersani?
L’unità politica dei cattolici non è un obbligo. Il Magistero è intervenuto autorevolmente su questo. Ciò non vuol dire tuttavia che non possa essere un’opportunità. La strategia del collocarci in (quasi) tutte le formazioni politiche, allo scopo di portare in ognuna i valori cristiani, è palesemente fallita, e ha portato al risultato opposto: quello di marginalizzare la presenza cristiana nei vari partiti (forse si salva solo Scelta Civica, nata peraltro sulle ceneri dell’Udc). La fine del Pd, che io auspico, potrebbe aprire uno spazio nuovo nel quale dar vita ad un partito di chiara ispirazione cristiana, di popolo, dialogante tanto con la sinistra riformista quanto con la destra neoliberista. Molto umilmente ritengo che si debba lavorare in questa direzione. Il lavoro è duro, le umiliazioni sempre dietro l’angolo, ma il gioco varrebbe ampiamente la posta.
Q. Giorgio D’Alessandris, Roma
 
La sua, caro signor D’Alessandris, è un’opinione più che legittima. Ma in politica contano solo i fatti, compiuti e realizzabili. La pluralità delle opzioni partitiche dei cattolici impegnati è un fatto compiuto, la riaggregazione di una parte considerevole degli stessi in una medesima formazione politica che più di altre li rappresenti (e li rispetti) è un’ipotesi ogni tanto considerata e sinora rivelatasi irrealizzabile. Il problema del “contenitore”, pur assai importante, anche a mio avviso viene però ben dopo quello dei “contenuti” (cioè della qualità delle persone e degli obiettivi programmatici di una forza politica). Le questioni antropologiche, sociali ed economiche che sono andate esplodendo hanno infatti messo in crisi conquiste di civiltà che sembravano consolidate e certezze morali che sembravano indiscutibili, e impongono come non mai chiarezza di visione, incisività e coraggio ai cattolici (come ai laici) decisi ad agire anche politicamente. Quelle virtù umane e politiche – ha proprio ragione lei, caro amico – senza un fondo di umiltà (che è l’altro nome del senso della sobrietà e del limite) non basterebbero ancora, a nessuno. Vedremo dunque che cosa maturerà, che cosa di vecchio verrà restaurato e che cosa di nuovo verrà messo in cantiere ora che (quasi) tutti i nodi politici e istituzionali aggrovigliatisi negli ultimi vent’anni sono venuti al pettine e l’unico modo per conservare ciò che davvero vale è lavorare al futuro.
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