Caro direttore,
«Dovevate impedirci di costruire»: l’Italia avrebbe bisogno di un’associazione ambientalista che prenda il nome da questo grido disperato. Grido paradossale che esprime bene il circolo vizioso in cui si è arenata la cultura italiana che, incerta nel valorizzare princìpi morali orientativi, ha lasciato spazio a una dinamica politica in cui l’interesse e il diritto individuale prevalgono sull’interesse e sul bene comune. Il grido è stato lanciato contro il sindaco di Olbia, nella Sardegna travolta dal ciclone, da una signora che ha avuto la casa distrutta dall’alluvione. La signora si disperava e il sindaco le aveva ricordato che aveva costruito abusivamente e poi aveva chiesto il condono, e quindi la sua disgrazia se l’era cercata. «Dovevate impedirci di costruire», è risposta drammatica, che indica un cumulo di prepotenze e impotenze, con una politica che mira prima al consenso che al dovere del buon governo, e una cittadinanza che pretende libertà di violare le leggi in cambio del voto. Ma da questo grido si può ripartire: è una sorta di confessione, di ammissione di colpa, è un’invocazione rivolta alla politica che deve aiutare il cittadino a rispettare la legge anche quando è tentato di non farlo. Ha qualcosa di religioso questa invettiva politica. E questa istanza religiosa va colta e assunta e assecondata. Bisogna mostrarne l’emblematicità; mostrare che la violazione della legge non è solo colpa morale e reato penale, ma è danno alla comunità e infine autolesionismo. Il potere politico non ha solo il dovere di reprimere l’abuso a difesa della legalità, ma ha il dovere di farlo a difesa della vita stessa di chi commette l’abuso. La politica assuma questo grido per avere il coraggio di smentire Machiavelli: separare la morale dalla politica porta ai disastri che ora stiamo vedendo.
Gian Carlo Salvoldi (già deputato dei Verdi)
Quel grido di donna e di cittadina ferita davanti alla devastazione d’acqua e di terra prodotta dal ciclone che ha investito la Sardegna s’imprime davvero nella memoria: «Dovevate impedirci di costruire!». E capisco bene perché lei, caro professor Salvoldi, vi senta echeggiare «qualcosa di religioso». In una schietta visione religiosa c’è lo spazio appropriato e giusto per tutto, anche per le regole che contengono, e aiutano a vivere, l’Incontenibile, cioè Dio e il rapporto con lui. C’è il senso del sacro, che è anche senso del limite, del confine che responsabilmente si dà alla libertà di tutti e di ciascuno. E c’è il senso del bene, che non può mai essere un male travestito a proprio comodo. Condivido, insomma, pienamente il suo ragionamento, la sua amarezza e la sua conclusione: politica e morale siano sorelle. In questa nostra Italia – in Sardegna, in Liguria, in Calabria, in Lombardia... – bisogna tornare a fare e dire le cose giuste (dico tornare perché non è vero che non si siano mai dette e fatte, ma è verissimo che ce le siamo dimenticate da un po’ troppi anni). Bisogna riuscirci per difendere noi stessi, la nostra civile convivenza, la nostra terra. E si può farlo con una politica fatta da persone serie, personalmente disinteressate e perciò interessatissime al bene comune. Penso che sia tanta ormai la gente che, anche in questo Paese, ha nostalgia di politici (qualcuno ne abbiamo pur visto...) decisi a non farsi corrompere dalla fame di potere e a non corrompere – assecondando attese e richieste sbagliate – la propria funzione di servizio ai cittadini. E penso che persino certe forme di popolarità a buon mercato, non solo le tangenti, siano manifestazioni della corruzione della politica. "Smentire Machiavelli" è, del resto, il sogno di tutti quelli che, come lei e me, caro professore, non si rassegnano alla visione tragica del gran fiorentino, e non si vergognano di pretendere – e, magari, tentare – un’altra politica, capace di autentica moralità perché capace non solo di decidere per il meglio, ma anche di semplice e onesta dedizione. Un sogno appunto, però impegnativo e totalmente a occhi aperti.