Carlo
Se si desidera una discussione utile e capace di chiarire i problemi – partendo da un diverso parere, ma accettando il rischio di essere, alla fine, d’accordo con il proprio interlocutore – non si può e non si deve iniziare con una contraffazione della posizione che si vuol contestare. Ma questo, caro signor Carlo, è purtroppo ciò che lei fa quando dichiara che noi non rispetteremmo il «valore delle decisioni democratiche» prodotte dal referendum svizzero. E quando sostiene che meniamo il «can per l’aia» e addirittura saremmo partigiani dell’islamizzazione d’Europa. O lei non ha letto le tre pagine e l’editoriale che abbiamo dedicato all’argomento martedì scorso, oppure ha smarrito il senso del ridicolo. Quello che lei scrive a questo proposito non sta né in cielo né in terra, e comunque non sta nelle pagine di Avvenire. Nelle nostre analisi e con le nostre ragioni di cittadini e di cattolici, ben riassunte nell’editoriale di Giorgio Paolucci – accompagnato dagli importanti contributi di Carlo Cardia e Marco Olivetti – diciamo ben altro. Non contestiamo la legittimità del voto svizzero, ma constatiamo che rappresenta una risposta rabbiosa e superficiale a una questione seria. Viviamo in un mondo nel quale – a parte i Paesi la cui cultura dominante ha radici cristiane più i casi del Giappone e della Corea del Sud – la libertà dei figli di Dio, ovvero la libertà di religione e di coscienza, è purtroppo solo un’idea negata. Ricordiamo che la Svizzera ha un rapporto Stato-Fedi storicamente problematico (basti pensare alle antiche limitazioni poste alla Chiesa cattolica nella costruzione di case religiose e nel decidere gli stessi confini delle diocesi, o alle leggi contro la macellazione rituale praticata dalle comunità ebraiche). E diciamo che è un peccato che dal cuore dell’Europa arrivi un segnale ambiguo, venato d’intolleranza e presuntuosamente miope. In Svizzera non è stato detto no alle moschee, ma ai minareti proprio come accade in quei Paesi a maggioranza islamica (dalla Turchia al Qatar) dove si autorizza la costruzione o il mantenimento di chiese, ma si proibisce l’esposizione in qualsiasi modo della croce o di altri segni che diano visibilità alla presenza cristiana. Non ci si è occupati o preoccupati, insomma, per quel che di pericoloso viene predicato nelle moschee – se, quando e dove questo accade – ma del fatto che le moschee siano riconoscibili. Anche questo può essere un problema per alcuni o per molti, ne sono ben consapevole e non me ne scandalizzo. Dico solo che considerarlo il nodo chiave è, questo sì, un assolutamente superficiale bla bla. Sono anche convinto che i sentimenti della maggioranza di una popolazione vadano rispettati dalle minoranze (ed educati al rispetto delle minoranze). E credo che con la ricetta referendaria svizzera non si sviluppino convivenza e integrazione, rischiando, anzi, di mettere in crisi processi positivi già avviati senza dare nulla di più alla società né sul piano della sicurezza né a livello identitario. Ci pensi su, se vuole. E magari si renderà conto che su Avvenire non si blatera a vanvera, ma si offrono informazioni e argomenti per evitare di farlo. La saluto.
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