Crescono i monopattini elettrici (Fotogramma)
Calava la sera sul quartiere la Goutte d’Or, nel diciottesimo arrondissement di Parigi, quando è avvenuto lo scontro. La prima vittima parigina alla guida di un monopattino aveva 25 anni. E aveva torto: non ha rispettato un semaforo ed è finita travolta da un autista sobrio, senza in corpo alcuna sostanza stupefacente, neppure oltre il limite di velocità. Succedeva il 10 giugno, pochi giorni dopo la firma (il 4 giugno) del decreto ministeriale che anche in Italia introduce la circolazione di monopattini elettrici, hoverboard( due ruote collegate a due piattaforme snodate su cui bisogna mantenersi in equilibrio), segway (la pedana con due ruote parallele e un manubrio) e monowheel (la monoruota che si tiene tra i due piedi). Di dimensioni ridotte o ridottissime, sono l’ultima frontiera della mobilità verde: i mezzi di trasporto “per l’ultimo miglio” – che dovrebbero venir utilizzati solo per tragitti brevissimi, a conclusione di itinerari svolti, per il resto, con i mezzi tradizionali – sono sostenibili, maneggevoli, per tutte le tasche. Esclusivamente elettrici, dovrebbero contribuire a migliorare la qualità dell’aria e a decongestionare il traffico urbano.
Tra gli ultimi, il nostro Paese sdogana questi mezzi di trasporto quando gli altri cominciano a prendere in considerazione la possibilità di limitarne l’utilizzo. Perché i problemi che creano sono forse più di quelli che risolvono. Restando a Parigi (ma sono oltre cento le città in cui i servizi di sharing sono già approdati), le società di noleggio dei monopattini certificano 20mila mezzi in circolazione, pronti a raddoppiarli entro la fine di quest’anno. La sindaca Anne Hidalgo promette norme stringenti sebbene al momento sia stata partorita solo una “Carta di buona condotta” che tra l’altro è indirizzata ai gestori perché trovino soluzioni per garantire la sicurezza di chi si trova in strada. New York ha ufficialmente vietato la circolazione sia dei monopattini a noleggio sia di quelli privati: troppo pericolosa la convivenza con i pedoni sui marciapiedi sempre affollati e con le auto sulle carreggiate dove il traffico è congestionato. Anche strade e marciapiedi di Barcellona sono off limits, mentre Madrid ha allo studio regole più restrittive. Il recente via libera della Germania non è stato indolore: l’opposizione di automobilisti, ciclisti e pedoni – convinti che gli e-roller provochino caos e incidenti – è stata feroce.
In Italia i monopattini circolano ma non potrebbero: il codice della strada non li prevede, tanto meno sulla carreggiata. Anche le nuove regole, contenute in un decreto ministeriale, li confinano in spazi ben precisi: aree pedonali, percorsi pedonali e ciclabili, piste ciclabili, corsie riservate e zone 30. Ma non basta che un’area appartenga a quelle elencate perché sia automaticamente percorribile dai micromezzi: ai Comuni è affidato il compito di individuare quelle in cui la circolazione sarà possibile e anche decidere quali fattispecie di dispositivi autorizzare. E potrebbe darsi il caso che alcuni micromezzi siano autorizzati su certi percorsi ma non su altri. Complicato? Parecchio. Come faranno i micromobilisti a sapere dove possono muoversi e dove no? Attraverso l’apposita segnaletica verticale e orizzontale che toccherà sempre ai Comuni predisporre: dove i segnali non ci sono – e fino a che non ci saranno – non si può circolare. Onere delle amministrazioni comunali sarà anche avviare “campagne di informazione sulla sperimentazione in atto” per i cittadini. Come si vede, monopattini, segway, hoverboard e monowheel sono destinati a muoversi nell’illegalità ancora per un pezzo: al netto di alcune città interessate a snellire il traffico (e ad appaltare i servizi di sharing), per le altre la micromobilità può aspettare. Anche il dm conforta chi preferisce rimandare o soprassedere del tutto. Consapevole che in alcune zone del Paese bisogna fare i conti con centri storici impervi e urbanistiche intricate, il legislatore afferma che “nell’individuazione delle infrastrutture stradali (...) i Comuni valutano che le stesse abbiano caratteristiche geometriche, funzionali e di circolazione adeguate”: è prevedibile che non ci sarà una corsa delle amministrazioni a legalizzare la micromobilità,
È un problema per gli italiani? Certo che no: già adesso in alcune grandi città, come Milano – che ha autorizzato il servizio fin da quest’autunno scavalcando il Codice della strada – questi mezzi di trasporto alternativi non sono più una rarità. Anzi. E dove le regole non ci sono si inventano. Qualcuno viaggia sulla carreggiata, qualcuno sul marciapiede tra i pedoni, condividendo con i ciclisti la convinzione di poter fare qualsiasi cosa: contromano, sulle strisce pedonali (dove le biciclette non possono stare a meno che vengano portate a mano), ignorando semafori e precedenze. Ed esattamente come i ciclisti, i micromobilisti possono contare sull’impunità: come farebbe un agente scrupoloso a multarli se identificarli è impossibile? Non c’è targa e solo i minorenni hanno l’obbligo, per guidarli, di essere in possesso almeno della patente per il motorino. Niente casco obbligatorio ma dopo il tramonto del sole e mezz’ora prima del suo sorgere – impone il decreto – bisognerà indossare il giubbotto o le bretelle retroriflettenti ad alta visibilità.
Il decreto specifica anche che “gli utilizzatori devono mantenere un andamento regolare” e “devono evitare manovre brusche e acrobatiche”: ma non è già un’acrobazia muoversi per la strada in equilibrio su una monoruota? C’è il rischio che siano i pedoni a dover fare i salti mortali. In molte città i micromezzi creano problemi quando sono in moto ma ancor di più quando stanno fermi visto che i fornitori del servizio di noleggio lavorano per la gran parte in modalità “dockless”, ossia senza stalli fissi di prelievo e riconsegna: lasciare il monopattino dove capita fa parte dell’accordo. Bisognerà rassegnarsi, quindi, a trovarli sulla propria strada, come già capita per le bici in condivisione. L’assicurazione obbligatoria non è prevista: ma in caso di incidente grave il cui il micromobilista avesse torto, chi paga?
Ricapitolando: dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto, i Comuni dovranno individuare le aree da destinare alla micromobilità, chiedere l’autorizzazione alla sperimentazione – che potrà essere rilasciata entro un anno dall’entrata in vigore del decreto e dovrà concludersi entro 24 mesi dall’inizio dei test – e, infine ma non ultimo, provvedere a installare la segnaletica necessaria. Fino ad allora, la circolazione dei mezzi di trasporto alternativi resta non contemplata. E potrebbe continuare a esserlo anche in futuro: come sottolineato più e più volte nel decreto ministeriale – fiore all’occhiello del ministro Toninelli che sogna «una mobilità veramente green» – di sperimentazione si tratta e soltanto tra due anni sarà possibile tirare le somme, capire se le regole funzionano o se hanno bisogno di venir ritoccate in senso più restrittivo oppure più lassista. Paradossalmente, i micromezzi potrebbero tornare fuorilegge: come spesso capita, a rendere improbabile questa possibilità sono questioni di carattere economico, visto che gli interessi in gioco sono, a dir poco, considerevoli.