Con lo smartphone connesso a internet in mano, lo zaino sempre pronto per la partenza in spalla e il Vangelo in tasca: è così che ieri Benedetto XVI ha voluto ancora una volta ritrarre i giovani cristiani di oggi. Un ritratto pieno di fiducia e di coraggio che non esita a passare attraverso contraddizioni e paradossi, in perfetto stile evangelico e in piena consonanza con il provocatorio entusiasmo che è sempre stato la «cifra» delle Giornate mondiali della gioventù.
«Imperativo»: così si potrebbe definire il messaggio che Ratzinger ieri ha inviato a tutti i giovani – e a quanti li accompagnano nel loro cammino di fede – in vista della Ventottesima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel luglio 2013. All’imperativo, infatti, sono i due verbi che reggono il tema scelto per l’evento, «Andate e fate discepoli tutti i popoli!», che mette a fuoco la dinamica fondamentale del credere: chi conosce Cristo non può fare a meno di condividere questa ricchezza e quindi di evangelizzare. E sta proprio qui la prima contraddizione, perché non esiste patrimonio che cresca condividendolo con gli altri. Nessun patrimonio, tranne la fede.
«Siete i primi missionari tra i vostri coetanei», dice il Papa ai giovani, affidando alle nuove generazioni un ruolo di prima responsabilità nella costruzione di un futuro per la Chiesa.
Ma, verrebbe da obiettare, come si può chiedere un impegno così grave ai ragazzi, già provati dalla fatica di garantirsi i beni fondamentali (scuola, lavoro, famiglia, casa)? Perché – è la risposta implicita del Papa teologo – esiste qualcosa di ancora più essenziale, qualcosa di così antropologicamente insopprimibile da risultare vitale per qualsiasi percorso di vita. Questo «quid» è l’amore nella forma che Cristo ha mostrato al mondo: un amore che si fa carico del prossimo fino alle estreme conseguenze. D’altra parte essere «estremi» è la qualità primaria dei giovani e il Papa dimostra di saperlo bene quando li incita ad avere «il coraggio di “partire” da voi stessi per “andare” verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio».
Ma chi sarà maestro, chi potrà guidare i ragazzi in questo affascinante compito?
Coloro che ci hanno preceduto, risponde ancora il Pontefice, e che hanno lasciato una «meravigliosa eredità». E siamo ancora nella contraddizione, perché è davvero difficile pensare al precario mondo odierno lasciato dagli adulti come a una «meravigliosa eredità» per i giovani. In questo mondo, però, ricorda il Papa, è il messaggio di Cristo il bene più prezioso ed è questa ricchezza che molti credenti hanno conservato e trasmesso nel tempo «affrontando prove e incomprensioni». In questi giorni di tensioni sociali e di scontri , di guerriglie e di guerre, non si può non vedere in un simile passaggio un rasserenante appello alla riconciliazione tra generazioni.
Anzi, di più: un invito a un nuovo protagonismo dei giovani. Il Battesimo, la Cresima, la preghiera, l’Eucaristia, la vita sacramentale sono, per il Papa, gli strumenti dei quali i ragazzi devono riappropriarsi per ripartire. E l’invito ad «andare», poi, non è un generico mandato, perché Ratzinger sa bene in quali contesti le nuove generazioni vivono la loro quotidianità, caratterizzata dall’uso sempre più diffuso di internet e da una sempre maggiore mobilità. In questi due ambiti il Papa chiede ai giovani di farsi missionari, sfruttando le enormi potenzialità della rete digitale – ma con saggia attenzione alle sue ambiguità – e dei collegamenti tra nazioni per raggiungere sempre più «popoli». Paradossale anche qui: perché nel mondo globalizzato il lontano non è più tanto l’abitante degli antipodi, quanto colui con il quale si fa fatica a comunicare e che magari vive alla porta accanto, aspettandosi non solo parole ma anche e soprattutto «gesti di amore».
Missione solitaria? Mai, perché ai giovani, che conoscono bene il valore del gruppo, il Papa ricorda la bellezza di vivere «al plurale», nella comunione della Chiesa, il cui volto più autentico è ritratto nell’immagine del Cristo Redentore di Rio de Janeiro: «Le sue braccia – conclude Benedetto XVI – sono tese per raggiungere ciascuno». L’ultimo paradossale imperativo rivolto ai giovani: per andare, imparate ad accogliere.