Caro direttore,sono contento della straordinaria elezione del nuovo Presidente della Repubblica. C’è un tratto della vita di Sergio Mattarella che mi colpisce in particolar modo. Il suo stile sobrio, essenziale, rigoroso e determinato sono il frutto di una formazione personale. Sergio Mattarella si è formato, educato in famiglia, nella parrocchia, nelle fila dell’Azione Cattolica e degli studenti. Nella sua città natale, Palermo, per ordine della mafia venne ucciso il fratello maggiore Piersanti, che gli morì tra le braccia. In quell’abbraccio dolorosissimo Sergio Mattarella ereditò sul campo un impegno di giustizia e di lotta contro la violenza della mafia e contro ogni forma di violenza e di terrore. La sua lunga militanza politica e intellettuale nell’area del cattolicesimo democratico, tradizione caratterizzata dalla vicinanza ai problemi essenziali dei cittadini, indica una scelta di attenzione verso la “periferia” della storia, e delle storie. E non a caso il nostro nuovo Presidente ha incominciato a parlarci partendo dalle «difficoltà» e dalle «speranze» di tutti noi, suoi «concittadini». Che sia un «garante», capace di non fare sconti a nessuno nella difesa della Costituzione, e che sarà l’«arbitro imparziale» che ha promesso di essere lo si capisce anche dal gesto inaspettato della visita ai martiri delle Fosse Ardeatine: così, senza tante parole, è andato alla radice, e alla “periferia”, della nostra Costituzione. Buon lavoro, presidente Mattarella!Silvio Mengotto, Milano
Caro direttore,al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella: lui sa, ci faccia sapere che non è in grado di dimenticare.Raffaele Ibba, Cagliari
Sono tanti e diversi i pensieri e le emozioni (indimenticabile il quadretto disegnato dal nonno e dalla nipotina per i vicoli di Bologna) con cui gli italiani accompagnano, in questi giorni, l’inizio del settennato del nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E tra le numerose lettere che stanno arrivando in redazione – qui sopra ne trovate alcune di particolare timbro e argomentazione – moltissime sono piene di sollievo, di compiacimento e di gioia per la scelta di un capo dello Stato con una storia, un’indole e uno stile come quelli che Mattarella ha saputo subito comunicare. Quasi che a noi cittadini fosse stato “restituito” qualcosa dopo la degenerazione progressiva della cosiddetta Seconda Repubblica e lo sconcertante balletto che aveva costretto il presidente uscente Giorgio Napolitano ad accettare, con esemplare spirito di servizio, un supplemento di mandato. E questo qualcosa è anche una certa idea della politica e della sua capacità di rappresentare la gente semplice e di meritarne la fiducia. Un’idea buona, un’idea «concittadina» e non solo «leaderistica» alla quale tanti di noi ormai fanno davvero fatica a credere. Eppure questo senso di restituzione di un maltolto adesso c’è, ed è forte (io stesso, in qualche modo, lo provo). È bene che il presidente Mattarella ne sia consapevole, perché è grazie a lui che succede. Ed è bene che ne sia consapevole il premier Matteo Renzi, perché la sua netta vittoria politica ha senso per il risultato a cui ha portato, non soltanto per se stessa. Voglio dire che, a mio parere (a quanto mi è dato di capire niente affatto isolato, e non solo tra i nostri lettori), la qualità della personalità eletta domina sulle modalità dell’elezione. Lo dimostra anche la lettera brevissima e, diciamo così, poetico-filosofica del professor Ibba. La «memoria» è una virtù civile fondamentale, che Sergio Mattarella incarna da sempre senza pedanteria, senza protagonismi personali e familiari, con serena efficacia. E che da Presidente ci aiuterà, spero, a ritrovare per percorrere con passo sicuro – come ha già chiesto di fare – le strade del futuro. Se qualcuno avesse avuto bisogno di una conferma di questo, l’ha avuto martedì mattina nell’aula di Montecitorio. Mattarella ha chiamato gli italiani a portare nella mente e nel cuore un senso di partecipazione forte e di opposizione inesorabile a ogni forma di violenza, di sopraffazione e di terrore. Avrebbe potuto a pieno titolo citare il proprio fratello, Piersanti, martire civile della lotta alla mafia, per dare nome e volto a questo impegno e invece ha scandito il nome del “fratello di un altro” eppure figlio e fratello di noi tutti, il piccolo Stefano Gaj Taché, ucciso nel 1982 alla grande Sinagoga di Roma da terroristi palestinesi. Un «nostro bambino». La memoria è virtù civile. Ci riporta all’autentico spirito del patto costituzionale e alle radici del patto sociale che ha accompagnato l’imperioso sviluppo del nostro Paese. Preziosi entrambi. Ed è anche un antidoto alle scorie tossiche accumulate in questi ultimi decenni. Scorie polemiche che fanno circolare – con malizia e arroganza nel caso di alcuni opinionisti, con più buona fede da parte di qualche nostro lettore – categorie stupide e ignoranti come quella del «cattocomunismo» per disprezzare l’impegno di cattolici profondamente ispirati nella loro azione dalla Dottrina sociale della Chiesa. Guardiamo avanti: sgombriamo lo sguardo e anche il linguaggio – almeno tra noi cristiani – di piccinerie e insopportabili pregiudizi. Ascoltare il nostro Presidente ci darà una mano. Ne sono certo.