giovedì 22 novembre 2012
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Qualche volta dimentichiamo. Magari perché se ne parla poco, a margine dei notiziari. O magari perché torna utile alla nostra tranquillità. Quasi si trattasse solo di parentesi terribili tra un tregua e l’altra – e oggi siamo a gioire per una di queste tregue. Però, è un fatto: gli orrori della guerra, della repressione violenta e sanguinaria tornano inesorabilmente a inquietarci e a incalzarci, e si dispiegano anche a due passi da noi: per alcuni giorni di nuovo nella striscia di Gaza e in Israele, da mesi in tutta la Siria.La vampata della "primavera araba", con la parentesi brutta sin dall’inizio della Libia, aveva convinto l’Europa e l’Occidente che si stesse aprendo una nuova stagione nel Mediterraneo e nei Paesi arabi. Oggi registriamo qualche luce e troppe tristi rigidità. Insieme alla caduta delle dittature si sono affermate forze che sostengono una concezione islamica dello Stato e preoccupano le minoranze etniche e religiose. Un grande Paese come la Siria è, poi. caduto in una spirale repressione-rivolta, con atrocità esibite o nascoste a corrente alternata. Infine, in Terra Santa la storia presenta periodicamente il conto di una incapacità cronica di tutte le potenze del mondo di porre fine a quell’ormai storico conflitto arabo-israeliano – che può già chiamarsi "la guerra dei 60 anni" – con la popolazione di Israele che vive nella precarietà perenne della propria esistenza, senza poter prefigurare il futuro, e la popolazione palestinese che ha solo certezza di un presente di povertà e guerra intermittente e dell’assenza di uno Stato che ne definisca identità e sviluppo.Se fossimo sinceri, se facessimo un vero esame di coscienza, dovremmo riconoscere la nostra indifferenza, quasi l’incapacità ad emozionarci e soffrire per le vittime che cadono straziate a centinaia, anche se esiste un’attenuante per l’ignavia perché essa è frutto dell’impotenza, e inazione, di tantissimi, quasi di tutti. Delle grandi potenze che hanno in mano i destini dell’uomo e del pianeta, ma a volte lasciano che questi destini si compiano come guidati dal fato, o frutto delle colpe dei protagonisti: l’odio antiebraico del fondamentalismo islamico, l’oltranzismo altrettanto odioso di alcuni gruppi israeliani, la insistente volontà di rifiutare compromessi lungimiranti sul piano territoriale e di sistemazione complessiva della regione in una prospettiva di pace duratura. Degli intellettuali che a volte si ergono a giudici di Stati e nazioni e spingono a soluzioni ritenute miracolistiche, altre volte tacciono di fronte a tragedie dieci volte più grandi. Del silenzio di una opinione pubblica e dei giovani – diciamo anche questa amara verità – che protestano in Occidente per la crisi, ma si scoprono privi di una visione generale, universale, della politica e dell’impegno solidarista.Dentro queste colpe maggiori, ci sono le responsabilità specifiche: per i missili spediti in Israele con fredda incoscienza, per le repliche belliche sproporzionate contro in palestinesi, per un’escalation di violenza nella quale si confondono le colpe delle due parti. Così appare nella sua crudezza solo il dolore, il dolore senza fine degli innocenti, dei bambini innocenti due volte, che muoiono all’apice della modernità, ma straziati e squassati come una volta: con l’unica aggiunta delle cineprese che scrutano i corpi violati e servono a riattivare il processo di pietà, dolore, pentimento, auto-giustificazione, fino al prossimo conflitto. Ogni fiammata del conflitto tra Israele e palestinesi di solito dura pochi giorni, con centinaia di vittime, e quando c’è – come oggi – una benedetta tregua noi ci convinciamo che la guerra è finita, torniamo tranquilli e la nostra coscienza si accontenta di poco. In realtà, i problemi restano tutti, e resta inalterata la violenza che insanguina la Siria da parte delle truppe governative, e, come denunciato da tante voci e dalla stessa Onu, anche di importanti settori della multiforme galassia di ribelli e rivoluzionari.Anche noi restiamo con i nostri problemi. Con l’incapacità di agire, di capire gli eventi che si succedono, con una impotenza che genera indifferenza, ci impoverisce spiritualmente e politicamente, ci trasforma in inerti spettatori. Resta il grande problema di Gerusalemme, città delle tre grandi religioni monoteiste, nonostante le proposte realistiche presentate a livello internazionale dalla Santa Sede e da altri soggetti, nel rispetto degli interessi di tutti gli interlocutori. Rimane il problema della popolazione palestinese stretta tra opposti fondamentalismi e irragionevolezze. Resta, soprattutto, il problema più grande di cui ha parlato Benedetto XVI e che peserà sulle generazioni future: le soluzioni ci sono, ma mancano volontà e coraggio di adottarle, di impegnarsi perché siano scelte dai protagonisti del conflitto. Per questo non si può scordare e non si può stare zitti.
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